Meloni, Lega e Pd: la lezione che arriva dagli Usa

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Quanto tempo passerà prima che Matteo Salvini ricominci a congratularsi per la cavalcata di Donald Trump, in testa nei sondaggi delle primarie repubblicane? D’altronde già lo disse nel 2019: “Trump è una salvezza per gli americani”. Per ora il segretario della Lega è molto impegnato a tassare gli extra profitti delle banche, a parlare di Ponte sullo Stretto e a difendere il generale Vannacci, ma c’è da essere certi che con il passare del tempo la memoria conservatrice riaffiorerà. La politica ha bisogno di simboli.

In occasione del viaggio di Giorgia Meloni negli Stati Uniti, dove ha incontrato il presidente democratico Joe Biden, Salvini per primo ha ricordato che la destra italiana sta con i Repubblicani. Già, ma come vanno le cose nel Grand Old Party? La trumpizzazione del partito che fu di Ronald Reagan e dei Bush, padre e figlio, è pienamente compiuta, e non da ora. Il dibattito pubblico conservatore degli Stati Uniti è tutto nelle mani del 45esimo presidente americano, che è in testa nei sondaggi e potrebbe battere, nonostante le quattro incriminazioni, gli altri 8 candidati che lo sfidano alle primarie del Gop ed essere nuovamente il candidato presidente del Partito Repubblicano alle elezioni statunitensi del 2024. Nessuno, nemmeno Ron DeSantis, governatore della Florida, sembra impensierirlo: fra i due ci sono 40 punti di distacco. Per non parlare degli altri, dal suo ex vice alla Casa Bianca Mike Pence all’ex governatrice del South Caroline, Nikky Haley, ampiamente sotto DeSantis.

“Trump è il politico più detestato degli Stati Uniti”, ha detto Haley al dibattito fra conservatori, al quale Trump non ha partecipato, andato in onda su Fox lo scorso 23 agosto. La stampa progressista e i Democratici tutto sommato non sono dispiaciuti dalla probabile vittoria del miliardario americano alle primarie. Trump viene descritto come l’avversario perfetto per Joe Biden, perché in grado come nessun altro di ricompattare l’elettorato democratico, che teme un bis dopo le elezioni del 2016. Trump, è vero, è un perdente di successo, perché dopo quelle elezioni non ha fatto altro che venire sconfitto (compreso alle successive elezioni del 2020). Ma tutto questo agli elettori repubblicani sembra interessare poco. Si sono così radicalizzati e Trump ne rappresenta così bene lo spirito che si sono auto-convinti di vivere in un mondo in cui le accuse al loro leader – al quale hanno sottratto ingiustamente le ultime elezioni, dicono i sostenitori trumpisti – saranno presto spazzate via anche grazie al resto dell’elettorato. Biden non se la passa benissimo e forse con un altro candidato – Mike Pence?, ha suggerito The Atlantic – i Repubblicani potrebbero anche vincere, approfittando della scarsa brillantezza bideniana. Secondo un sondaggio di Cbs  pubblicato qualche settimana fa, l’incertezza incide.

Per il 65 per cento degli intervistati l’economia americana va male, anche se per quanto riguarda il mercato del lavoro l’impressione è migliore. Tra i problemi più pressanti c’è l’inflazione e qui sta forse il punto. Per il 45 per cento degli intervistati, le politiche di Biden di contrasto all’inflazione la stanno in realtà facendo aumentare. Ma come sta la Bidenomics, espressione coniata dalla sua amministrazione? Solo il 27 per cento ne ha sentito parlare qualche volta e la maggioranza – il 59 per cento – non ha mai sentito questa espressione. Tra chi però ne ha sentito parecchio parlare o qualche volta il risultato può essere considerato tutt’altro che esaltante per i democratici: il termine viene associato soprattutto ad alta inflazione e aumento delle tasse. I risultati insomma non sono eccellenti: il gradimento di Biden è al 40 per cento adesso, mentre a marzo 2021 era al 62 per cento. 

La cronaca politica americana può essere d’aiuto per interpretare alcuni fenomeni politici italiani. Trump è in grado di vincere le primarie ma non è detto che sia in grado di battere Biden alle presidenziali. Avere una identità politica radicalizzata ti aiuta a vincere nel tuo campo d’interesse sociale, ma può rendere difficoltoso il confronto con il resto del Paese. Forse, a parti invertite, il Pd italiano potrebbe avere qualcosa da carpire dalla vicenda americana: essere il vincitore delle primarie ti qualifica automaticamente come miglior candidato a battere chi sta dall’altra parte? (Public Policy)

@davidallegranti