di Sonia Ricci
ROMA (Public Policy) – Una serata limpida, senza nebbia. Nessuna carenza di visibilità. Il 10 aprile 1991 è iniziato così il disastro del traghetto Moby Prince a poche miglia dal porto di Livorno, che portò alla morte 140 passeggeri e membri dell’equipaggio. Erano le 22,25 quando la nave diretta a Olbia comandata da un capitano di “esperienza” e “professionalità riconosciute”, come Ugo Chessa, finì contro una grande petroliera della Agip Abruzzo, ancorata in “una zona vietata”, poco tempo dopo aver mollato gli ormeggi e che prese fuoco proprio davanti al lungomare.
Sono passati 27 anni da quell’incidente in mare e due inchieste della magistratura condotte (nel 1991 e nel 2006), e la commissione d’inchiesta istituita in Parlamento ha di fatto ribaltato le ricostruzioni ufficiali, eliminando molte “certezze”. Due anni di lavoro, con oltre 70 persone ascoltate, migliaia di documenti – alcuni anche inediti – diverse perizie, che hanno prodotto una relazione da 492 pagine. Quella presentata oggi al Senato, per la prima volta, fa luce sul motivo della collisione e mette in dubbio l’ipotesi che nel traghetto Moby morirono tutti in mezz’ora.
Le conclusioni sono chiare: la nave-traghetto ha dovuto deviare improvvisamente – “tutte le pale del timone erano a 30 gradi a dritta”, “una virata tremenda” – finendo contro la petroliera, colpendo con la prua la cisterna 7 che conteneva 2.600 tonnellate di petrolio greggio. Quindi nessun ordigno a bordo, come era stato ipotizzato al tempo dall’allora capo della Polizia, Vincenzo Parisi, e di conseguenza nessuna avaria.
“Consegnamo alle procure questo materiale – ha detto al termine della presentazione della relazione il senatore Pd, Silvio Lai, presidente della commissione d’inchiesta – e se vorranno faranno le giuste verifiche. Abbiamo sentito il dover di non fermarci davanti a porte chiuse e stanze buie per rispetto dei cittadini”.
LA NEBBIA
Sulla base delle tante audizioni, delle analisi effettuate dai collaboratori della commissione, dei rilievi meteo pervenuti, si esclude che la nebbia sia stata la causa della tragedia. Non c’è stato, prima del disastro, un fenomeno atmosferico di “totale, immediata e generale” riduzione della visibilità in rada, tale da provocare l’accecamento del comando del traghetto e dei suoi apparati radar durante la navigazione. “Su questo la commissione, tutta unanime – si legge – sente di esprimersi con assoluta consapevolezza e piena assertività, confermando giudizi già ampiamente motivati nelle relazioni intermedie”.
C’è anche fotogramma di un video preso dopo 5 minuti dall’impatto, in cui il riflesso dell’incendio sulle navi mostra chiaramente che non c’era nebbia. C’era invece fumo, quello sì, dovuto – sostengono i commissario – probabilmente all’incendio della nave.
CAPITANO ED EQUIPAGGIO
La commissione è poi certa che l’equipaggio che quella notte dirigeva l’imbarcazione non abbia compiuto atti imprudenti. Il traghetto, infatti, era diretto da un “comandante di lungo corso” e questo guidava un equipaggio “qualificato” e conosceva perfettamente la rotta da seguire per fare il viaggio da Livorno a Olbia. E soprattutto a bordo del Moby Prince era acceso il radar ed quindi era difficile immaginare che una nave della stazza della petroliera illuminata a giorno possa essere scomparsa completamente dalla vista da un momento all’altro.
Non solo, la relazione rivela che il comandante Chessa fece di tutto per mettere in salvo i passeggeri e allungare la sopravvivenza a bordo della nave, tanto da tentare una retromarcia della nale per disincagliarla dalla prua dalla cisterna di greggio. L’indagine portata avanti dai parlamentari, però, non ha messo in luce le cause di quello schianto.
EVENTUALI ALTRE NAVI
Rimane dunque in piedi l’ipotesi di un bettolina, ossia una nave più piccola che solitamente effettua servizio di trasporto di materiali e liquidi verso navi più grandi, impegnata forse in in attività non lecite proprio con la stessa petroliera. Per evitarla la Moby potrebbe aver virando a dritta, così come sono stati trovati i timoni, ed aver colpito la petroliera. Questa, poi, secondo i commissari non avrebbe potuto fermarsi lì dov’era. Nonostante le prime ricostruzioni dicano altro, l’Agip Abruzzo “era in una posizione vietata” e che non è stata “riportata correttamente” durante le indagini e il processo.
Tale operazione era stata in precedenza più volte “smentita recisamente”, in quanto ritenuta estremamente pericolosa. Nel corso delle audizioni, però, da alcuni degli ufficiali della petroliera è stato osservato che, pur seguendo le scrupolose procedure del caso, era possibile compiere operazioni di bunkeraggio fra le bettoline e la petroliera anche di notte.
IL TIMONE GIRATO A SINISTRA
Il timone del traghetto Moby Prince è stato trovato bloccato a 30 gradi a sinistra. Il presidente della commissione, Silvio Lai (Pd), durante il suo lungo intervento ha spiegato che questo particolare mostra come, probabilmente, vi sia stato un tentativo della Moby Prince di evitare un ostacolo. Si fa notare, poi, che nei giorni successivi all’incidente qualcuno ha tentato di spostare la marcia della nave da manuale ad automatica, senza riuscirci.
L’IPOTESI DELLA MARCIA INDIETRO
Secondo le conclusioni della commissione, le navi sono rimaste incastrate tra loro per oltre 5 minuti. Si ipotizza che la Moby Prince abbia tentato una marcia indietro. Ci sono elementi che mostrerebbero come plausibile il fatto che il traghetto passeggeri “procedesse a retromarcia”, dopo l’impatto, “in moto rotatorio intorno alla petroliera”, con il possibile doppio scopo di restare visibile ai soccorritori, “che tuttavia non la individuano sino alla mezzanotte”, e di tenere il fuoco a prua lontano dalla zona centrale dove i passeggeri e l’equipaggio si erano rifugiati. A dimostrazione di ciò “le tracce di bruciature presenti solo sulla parte di prua del fumaiolo del Moby Prince”.
DALLA PETROLIERA INFORMAZIONI “FUORVIANTI”
La collisione è avvenuta alle 22.25, mentre i soccorsi arrivano solo alle 23.45, un’ora e venti dopo. Dalla petroliera Agip Abruzzo di Snam – che non è la stessa Snam di oggi, dopo lo scorporo nel 2012 da Eni – venivano date “informazioni tendenti” ad attirare i soccorsi su di sé senza segnalare l’eventuale esigenza di soccorso del “secondo natante”. Dalla petroliera sono “state date informazioni non complete e in parte fuorvianti”. Il comando della petroliera – secondo le conclusioni – “non pose in essere condotte pienamente doverose”.
I SOCCORSI NON AGIRONO
Capitaneria di porto di Livorno “non partirono ordini precisi per chiarire l’entità e la dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione, “quasi non si sapesse cosa fare”.
La Moby Prince – ha aggiunto – “non è stata cercata”. È stata trovata “casualmente”. Molti hanno confermato “che si sapeva che era quella nave, l’ultima uscita dal porto. È stata ritrovata solo un’ora e mezza dopo l’incidente. Si è subito rinunciato allo spegnimento del fuoco, ma potevano esserci persone ancora vive, e secondo noi ce n’erano”.
“C’ERA TEMPO PER I SOCCORSI”
Al momento della loro morte, quasi tutti i passeggeri, salvo uno, si trovavano con il primo ufficiale di coperta nel grande salone del traghetto. “C’era un’organizzazione di emergenza, un assetto che poteva garantire una resistenza di 60 minuti della protezione da un incendio di un fuoco esterno”, ha spiegato Lai.
IL SUPERSTITE
La commissione ha anche sentito l’unico superstite della strage, sopravvissuto attaccato alla poppa della nave, sul lato destro. Tratto in salvo “non ha mai detto che i passeggeri erano tutti morti”. Al contrario “ne ha sollecitato il salvataggio anche al suo arrivo in banchina a Livorno”. Sino a mezz’ora prima del suo salvataggio “uno dei due compagni con il quale si era mosso all’interno della nave era vivo”. (Public Policy)
@ricci_sonia