di Luca Iacovacci
ROMA (Public Policy) – Dall’esigenza di avere un “capo dello Stato eletto direttamente dal popolo italiano e, di conseguenza, legittimato ad assumersi ogni responsabilità nell’indirizzo politico della Nazione e nelle più importanti scelte di politica nazionale e internazionale”, all’introduzione del divieto assoluto di rielezione del presidente della Repubblica e all’abolizione del cosiddetto ‘semestre bianco‘.
In Parlamento sono state depositate, nel corso della XVIII legislatura, molte proposte legislative costituzionali volte a riformare l’ordinamento statale sull’elezione presidenziale. Il tema, dopo la rielezione di Sergio Mattarella, è tornato fortemente al centro del dibattito pubblico.
Facciamo il punto sui principali progetti finora depositati a Palazzo Madama e a Montecitorio e che riguardano l’elezione diretta del capo dello Stato.
ELEZIONE DIRETTA, BALLOTTAGGIO, FUNZIONI: LE PROPOSTE PD, FDI E LEGA
Anzitutto, sono state depositate, in due testi ben differenti tra loro, due proposte legislative di FdI, una alla Camera (a prima firma di Giorgia Meloni; giugno 2018) e una al Senato (a prima firma di Luca Ciriani; settembre 2019).
La destra italiana, si legge nelle identiche relazioni illustrative allegate ai due testi, “ha sempre indicato, come via di uscita ai tristi balletti parlamentari nella formazione dei Governi, ai quotidiani riti trasformistici delle maggioranze parlamentari ondivaghe e alla strutturale debolezza di una democrazia lenta e avvitata su sé stessa, il presidenzialismo. Vi è la forte esigenza di avviare una riforma costituzionale e istituzionale affinché il Capo dello Stato sia eletto direttamente dal popolo italiano e, di conseguenza, legittimato ad assumersi ogni responsabilità nell’indirizzo politico della Nazione e nelle più importanti scelte di politica nazionale e internazionale”.
Il presidente della Repubblica, dunque, viene eletto a suffragio universale e diretto, attraverso candidature avanzate “da un gruppo parlamentare presente in almeno una delle Camere, o da duecentomila elettori, o da deputati, senatori, membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, consiglieri regionali, presidenti delle Giunte regionali e sindaci, nel numero stabilito dalla legge”. Arriva al Quirinale, quindi, “il candidato che ha ottenuto la metà più uno dei voti validamente espressi”; altrimenti, se nessuno raggiunge il quorum, si procede dopo 14 giorni dalla prima votazione ad un ballotaggio tra i due più votati al primo turno.
La pdl Meloni, a differenza di quella firmata al Senato da Ciriani, non si limita alla disciplina della tornata elettorale ma innova profondamente il ruolo e le funzioni del pdR, chiamato a presiedere il Consiglio dei ministri, “salvo delega al primo ministro”, che è da lui nominato. Il presidente, inoltre, su proposta del premier, ha anche poteri di “nomina e revoca” dei ministri.
Elezione diretta, doppio turno e nomina e revoca di premier e ministri, tuttavia, non sono solo prerogative di FdI. Nei ‘cassetti’ della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama giace, infatti, anche una proposta di riforma targata Cerno-Parrini (entrambi Pd) risalente a marzo 2018 con cui vengono proposte tali modalità di elezioni e funzioni, unite a una durata del mandato presidenziale di 5 anni, all’abbassamento dell’età di eleggibilità da 50 a 35 anni e all’introduzione del secondo mandato.
A differenza della pdl Meloni, però, nella proposta Cerno-Parrini, che intende “assicurare il pieno sviluppo della vita democratica e la governabilità del Paese”, si prevede che nel caso in cui, entro 5 giorni dalla revoca del primo ministro, il Parlamento gli confermi la fiducia, il pdR decada e il Parlamento stesso sia sciolto.
Nella stessa data (marzo 2018) il Pd alla Camera depositava anche una proposta di legge costituzionale basata sul modello francese, a prima firma di Stefano Ceccanti, che includeva elezione diretta del pdR, eventuale secondo turno e abbassamento della soglia d’età per l’elezione (25 anni), senza tuttavia modificare i rapporti con il Governo e il presidente del Consiglio dei ministri, introducendo anche il mandato quinquennale e il limite di due mandati.
Su un piano ancora diverso, poi, sempre il Pd, al Senato, ha presentato un altro ddl (Parrini, Zanda, Bressa; dicembre 2021), di cui si è discusso molto sui quotidiani, con cui si è ‘limitato’ a proporre il divieto di rieleggibilità del presidente della Repubblica e l’abolizione del cosiddetto semestre bianco.
In materia di rieleggibilità, come si legge nella relazione illustrativa del ddl Parrini-Zanda, “il conferimento, nel 2013, di un secondo mandato al presidente Napolitano,che peraltro aveva più volte manifestato una diversa volontà, ha senza dubbio cambiato i termini della questione, che da mera possibilità teorica si è tradotta in precedente, e invita a interrogarsi sull’opportunità di riprendere e tradurre in norma argomentazioni così autorevolmente espresse (nel dibattito sulla questione sollevato durante l’Assemblea costituente e nel corso della Prima Repubblica; Ndr). È infatti evidente che, se l’eccezione divenisse regola e quella che è stata la regola cominciasse ad apparire come eccezione, l’equilibrio dei poteri delineato dalla Carta potrebbe risultarne alterato“.
Sul piano delle riforme dell’elezione diretta della più alta carica dello Stato c’è anche un progetto legislativo del leghista Roberto Calderoli (settembre 2019). Il senatore del Carroccio ha proposto, oltre all’elezione diretta del capo dello Stato, un mandato della durata di 7 anni con l’introduzione di un limite alla rieleggibiltà per una sola volta, ipotizzando anche l’abolizione dell’istituto dei senatori a vita (di nomina presidenziale) e l’abbassamento a 40 anni quale requisito per l’elezione. (Public Policy)
(foto cc Palazzo Chigi)