Ordinamento giudiziario, novità e ambiguità della proposta del Governo

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare” è destinato plausibilmente ad accendere violentissime polemiche, che finiranno però per occultarne il contenuto e le conseguenze normative.

A una prima disamina, non si tratta propriamente di una legge sulla “separazione delle carriere” dei magistrati, quanto, più esattamente, sullo sdoppiamento del CSM, sulla modifica dei meccanismi di composizione dei due (questi sì, nettamente separati) Consigli superiori – uno per la magistratura requirente e l’altro per quella giudicante – e sull’istituzione di una corte disciplinare per i magistrati, esterna ai due organi di autogoverno.

Per confrontare i fini dichiarati coi mezzi messi nero su bianco in questa proposta di legge a firma del ministro Nordio, è utile leggerla in parallelo con quella di iniziativa popolare promossa dall’Unione delle Camere penali nel 2017depositata in questa legislatura alla Camera dei deputati dal responsabile giustizia di Azione, Enrico Costa.

Partiamo proprio dalla separazione delle carriere dei magistrati. La proposta delle Camere Penali inverava radicalmente il principio, stabilendo che l’accesso alla carriera giudicante o requirente avvenisse “in base a concorsi separati”. Il ddl Nordio stabilisce invece che siano le norme sull’ordinamento giudiziario (cioè la legge ordinaria) a disciplinare “le distinte carriere dei magistrati giudicanti e requirenti”; quindi, in assenza di un effettivo limite costituzionale, tali norme possono anche non prevedere un unico concorso e lasciare aperte passerelle dall’una all’altra carriera. Insomma, in base al testo del Governo si raddoppiano certamente i CSM, ma non si “scoppiano” necessariamente le carriere.

La nuova legge sull’ordinamento giudiziario, che dovrebbe essere approvata entro dodici mesi dall’entrata in vigore della riforma costituzionale, potrebbe decidere in varie direzioni, teoricamente anche allargando le possibilità recentemente ridotte in maniera sostanziale dalla legge Cartabia, la quale ha stabilito la regola generale del passaggio tra funzioni giudicanti e requirenti per una sola volta nel corso della carriera, entro 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni e ha escluso in seguito ulteriori passaggi in ambito penale, ma solo tra civile e penale.

Insomma, se la separazione delle carriere non è stabilita costituzionalmente attraverso l’accesso separato a due carriere non comunicanti, qualunque maggioranza parlamentare può decidere di ridurre o aumentare le passerelle tra requirenti e giudicanti. Una seconda grande differenza con la proposta dell’Unione delle Camere Penali è rappresentata dalla confermata intangibilità del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale che, essendo regolata anch’essa dal principio di scarsità, oggi assegna di fatto a ciascun procuratore il potere, ma non la responsabilità, della scelta delle notitiae criminis su cui procedere e di quelle da sacrificare all’oblio e all’inevitabile prescrizione.

La proposta dell’Unione delle Camere Penali stabiliva invece che l’azione penale avvenisse “nei casi e nei modi previsti dalla legge”, cioè che il principio dell’obbligatorietà comportasse una modulazione concreta e che essa, dovendo stabilire forme e priorità di esercizio dell’azione penale, non potesse che essere un atto politico responsabile, cioè una legge e non una scelta arbitraria di un potere non legittimato a scelte di politica penale e criminale. 

Una vera innovazione del ddl Nordio è rappresentata dall’istituzione di un’Alta Corte per l’esercizio della giurisdizione disciplinare, “composta da quindici giudici, tre dei quali nominati dal presidente della Repubblica tra professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati con almeno venti anni di esercizio e tre estratti a sorte da un elenco di soggetti in possesso dei medesimi requisiti che il Parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante elezione nonché da sei magistrati giudicanti e tre requirenti estratti a sorte tra gli appartenenti alle rispettive categorie, con almeno venti anni di esercizio delle funzioni giudiziarie e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità”.

Il potere disciplinare quindi si sposterebbe dall’organo di autogoverno a un giudice terzo, selezionato in modo casuale, e i ricorsi andrebbero proposti davanti allo stesso giudice, non alla Cassazione, ma senza la partecipazione dei giudici responsabili del giudizio impugnato. Da questo punto di vista la proposta delle Unione delle Camere penali era più “tradizionalistica”, lasciando le funzioni disciplinari per magistrati requirenti e giudicanti in capo ai rispettivi CSM.

L’altra innovazione del ddl Nordio riguarda i meccanismi di composizione dei due CSM, affidata al meccanismo del sorteggio, che risulta temperato per la componente parlamentare (1/3 del totale, al netto del presidente della Repubblica e del Procuratore Capo e del Primo Presidente della Cassazione), cioè effettuato su una platea di candidati selezionati per via elettiva dalle camere in seduta comune. Per la componente togata (2/3 del totale) spetterà alla legge stabilire le modalità di selezione dei candidati all’estrazione. Si tratta evidentemente di un modo per arginare il potere delle correnti dell’ANM, ma molto dipenderà dal meccanismo che la legge (ordinaria) individuerà per i togati.

Per gli eletti dal Parlamento, è chiaro che essi rifletteranno i rapporti di forza tra i partiti politici. Tra i togati, se alla tombola degli estratti non parteciperanno d’ufficio tutti gli aventi diritto – a seconda dei requisiti stabiliti dalla legge – ma quelli eletti dai magistrati stessi sulla base di candidature più o meno correntizie, l’esito potrebbe essere simile a quello dei componenti parlamentari, cioè non molto diverso da quello attuale. Sulla composizione dei due nuovi CSM la proposta delle Camere Penali rimandava i meccanismi di scelta e elezione dei componenti alla legge ordinaria, ma parificava la componente di nomina parlamentare a quella togata (50% per entrambe), con un riequilibro che la proposta del Governo lascia invece nel cassetto.

Posto che questo disegno di legge costituzionale abbia un futuro più lungo di quello che ci separa dal voto dell’8 e 9 giugno e in ogni caso non finisca in coda a quello sul premierato, c’è da credere che molto vada ancora discusso e chiarito (e non solo rimandato in forma aperta a un complesso sistema di leggi ordinarie), prima che una vera riforma costituzionale in materia di giustizia possa vedere la luce. (Public Policy)

@CarmeloPalma