Patto di Stabilità: la solidarietà europea è un imbroglio

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di Carmelo Palma

ROMA (Public Policy) – Il ministro Guido Crosetto, che è stato finora uno dei pochi esponenti dell’esecutivo ad avere dimostrato di avere la testa sulle spalle e nella testa qualcosa di diverso dal cimeli ideologici e dalle ragnatele retoriche post-fasciste e post-berlusconiane, è tornato con una intervista su Repubblica a chiarire la vera priorità europea del governo Meloni: scongiurare il ritorno alle regole del ‘vecchio’ Patto di stabilità. Come aveva già anticipato il ministro Raffaele Fitto, se entro la fine dell’anno non si troverà un accordo sul compromesso proposto dalla Commissione, che scontenta sia falchi che colombe, o sulle sue possibili modifiche, torneranno in vigore i parametri del 3% di deficit e del 60% di debito sul pil. Peraltro, l’ipotesi avanzata da Von der Leyen e Gentiloni, che rende meno automatici e più negoziali e “personalizzati” percorsi di rientro da deficit e debito è essa stessa condizionata dall’assenza di un accordo di fondo tra gli stati membri sull’evoluzione della governance economica europea. Non è affatto insensato prevedere che il quadro macroeconomico globale, problemi di difesa e sicurezza strategica e gli impegni assunti dall’Ue sul fronte della transizione energetica e ambientale comporteranno un aumento della spesa pubblica nazionale in tutti i Paesi Ue.

Lo ha detto recentemente anche Mario Draghi. A non essere vero, però, è che questo cambio di scenario consenta di rivalutare politiche di bilancio lassiste, come se la neutralizzazione formale della maggiore spesa o di una quota di essa ai fini delle regole europee di per sé dissolvesse sostanzialmente il rischio di una grave instabilità finanziaria e annullasse i problemi di credito per i Paesi più indebitati, in una situazione – ha ricordato sempre Draghi – in cui tassi saranno comunque stabilmente più alti che in passato e all’Unione europea spetterà di fare passi avanti verso una maggiore integrazione.

Il gioco di sponda che Crosetto auspica con la Francia e con altri Paesi interessati ad attenuare i rigori del nuovo Patto di stabilità non hanno, in sé, alcun significato e alcuna utilità, se non all’interno di un disegno politico in cul a maggiore solidarietà economica corrisponda maggiore corresponsabilità politica sulle politiche di bilancio nazionali. La strada che alcuni mesi fa invece indicava improvvidamente il ministro Giorgetti – all’Italia più debito, alla Germania più aiuti di Stato – non solo farebbe fare passi indietro al mercato comune senza consentire alcun passo avanti all’unità economica europea, ma aggraverebbe gli svantaggi competitivi per Paesi – prima l’Italia – con una minore capacità fiscale.

Il problema per l’esecutivo è però che una rifondazione, per cosi dire, europeista, se non proprio federalista, dell’Unione europea è in perfetta antitesi con l’idea che Giorgia Meloni e la destra italiana intendono imporre a Bruxelles, in parte per soddisfare le esigenze di coerenza del proprio elettorato nazionale, in parte per compiacere i partiti sovranisti alleati, che vedono una maggiore integrazione non solo economica, ma anche civile e giuridica dell’Ue come un vero e proprio rischio esistenziale.

La lunga rincorsa della campagna elettorale meloniana in vista del voto del prossimo giugno per l’Europarlamento è all’insegna del regime change politico, con l’esclusione dei socialisti dal governo dell’Ue e istituzionale, con il passaggio a una logica confederale, cioè a un’Europa di cooperazioni settoriali. Se questo disegno vincesse in Europa, per l’Italia e il suo debito pubblico si aprirebbe uno scenario catastrofico.

Chiedere nello stesso tempo ‘più Europa’, in nome di politiche fiscali comuni e espansive, che hanno evidenti effetti redistributivi tra Paesi membri e ‘meno Europa’, in nome di una sovranità politico-economica nazionale meno condizionata da regole e imposizioni bruxellesi suona come un ossimoro, anzi come un imbroglio. E se si potranno continuare a imbrogliare milioni di elettori italiani, di certo non lo si potrà fare con nessuno degli altri 26 Paesi membri dell’Ue. Sul dossier dell’immigrazione e dell’assistenza al richiedenti asilo – che ha una particolare delicatezza politica, ma è tutt’altro che la bomba sociale descritta dai sovranisti – l’Italia sta già sperimentando cosa vuol dire chiedere da una parte più solidarietà all’Europa e giustificare dall’altra parte le chiusure nazionaliste, che paralizzano ogni forma di solidarietà europea. In questo caso però si può continuare a dare ragione a Orban e torto a Macron, perché migranti e richiedenti asilo sono un problema che sta, come un fantasma, nella testa di un’opinione pubblica ormai autorizzata alla ‘xenofobia democratica’ e non morde affatto nella vita e nei conti degli italiani. Una rinazionalizzazione di diritto o di fatto delle politiche economiche e fiscali europee e il passaggio all’ognun per sé avrebbe invece in Italia conseguenze sociali devastanti. Altro che riforma solidale del Patto di stabilità. (Public Policy)

@carmelopalma