Perché il reddito di cittadinanza all’italiana è una costosa illusione

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di Pietro Monsurrò

ROMA (Public Policy) – La crisi finanziaria e la stagnazione economica hanno spinto molti italiani a chiedere nuove politiche sociali. Quella di cui si è discusso di più è il “reddito di cittadinanza”, approvato recentemente dall’attuale Governo (sarà implementato nel 2019, se si riuscirà ad evitare una crisi finanziaria).

Il “reddito di cittadinanza” voluto dai 5 stelle è in realtà un’integrazione di reddito, essendo meno universale di un vero “reddito di cittadinanza”, o “universal basic income”. Ma sarebbe comunque una novità in Italia, dove lo “stato sociale” è sempre stato interessato quasi esclusivamente ai pensionati, e dove la spesa per l’assistenza sociale passa quasi per intero attraverso l’Inps, lasciando poco per famiglie e disoccupati. Si parla di “basic income” in tutto il mondo, e la stagnazione economica italiana non può esserne l’unica causa: la stagnazione dei redditi delle classi più povere c’è stata anche altrove, per via dell’innovazione tecnologica, che ha ampliato le differenze di reddito tra lavoratori qualificati e non, dell’aumento dell’immigrazione, che agisce da moderatore per i redditi più bassi, e della globalizzazione, che ha fatto trasferire all’estero le produzioni industriali meno avanzate. Innovazione e globalizzazione non sono fenomeni invertibili, in quanto benefici per la società nel suo complesso, e anche contrastare l’immigrazione a bassa produttività non sembra molto facile. Quindi questi problemi rimarranno.

L’idea del reddito di cittadinanza è che pagare gente per non lavorare ridurrebbe l’ansia per il futuro, e dunque i voti per i movimenti di protesta. Ma avere un lavoro è diverso dall’avere un reddito. Avere un lavoro significa avere un ruolo produttivo in società, essere utili, sentirsi riconosciuti. Avere un reddito significa solo che qualcuno, lavorando, paga le tasse per sovvenzionare altri. Il reddito di cittadinanza non può sostituirsi ad un lavoro produttivo come fonte di riconoscimento sociale e autostima personale. Ci sono anche dubbi su come un tale reddito possa essere finanziato: in Italia il tasso di occupazione è basso, e anche i redditi per chi lavora sono bassi, sia per la bassa produttività che per l’elevato cuneo fiscale. Un reddito garantito di 780 euro mensili sarebbe preferibile a lavorare 40 ore a settimana per guadagnarne, magari, 781… molte persone a basso reddito smetterebbero di lavorare, e altre che attualmente non lavorano fingerebbero di cercare lavoro per ottenere il reddito di cittadinanza. Se l’80% dei lavoratori italiani prendesse il doppio del reddito minimo, pochi preferirebbero quest’ultimo ad un lavoro vero, ma dopo tre decenni di stagnazione, questa condizione non è valida.

Alcuni considerano il reddito di cittadinanza un’alternativa allo stato sociale, e quindi i suoi costi verrebbero coperti dalla riduzione di altri servizi. Ciò potrebbe essere sostenibile, a scapito delle burocrazie che si occupano di assistenza sociale – in Italia a volte con pochi risultati, come per i centri per l’impiego. Non è però ciò che ha promesso il Governo, ed è difficile immaginare un Governo che tagli il pubblico impiego. Ciò di cui si avrebbe bisogno sono politiche per migliorare il capitale umano della popolazione, e per aumentare la competitività delle aziende, in modo che possano produrre, investire, innovare e assumere. Per farlo occorre tagliare la spesa non produttiva, soprattutto pensionistica. Finché le aziende non inizieranno a crescere, investire, innovare, non si creerà un circolo virtuoso di maggiore produttività, occupazione e redditi, che potrebbero in futuro fornire le risorse per sostenere chi “rimane indietro”.

Purtroppo gli italiani hanno votato per l’assistenzialismo, e non per un futuro sostenibile per il Paese: hanno votato per tornare alle politiche della Prima Repubblica che ci hanno portato nella palude in cui oggi arranchiamo. Il “reddito di cittadinanza” all’italiana, pur nel tentativo di rispondere a un problema sociale reale, si rivelerà una costosa e insostenibile illusione, che servirà ad evitare di parlare di ciò che realmente serve: produttività e crescita. (Public Policy)

@pietrom79