di Giordano Locchi
ROMA (Public Policy) – Un provvedimento “omnibus” con interventi su amministrazione e assunzioni pubbliche, università e ricerca, in materia finanziaria e fiscale, ambiente, fonti rinnovabili, efficientamento energetico e salute, transizione digitale, infrastrutture, zone economiche speciali, logistiche semplificate, in materia di turismo, di giustizia. E istruzione, materia su cui si è consumato un lungo braccio di ferro tra maggioranza e Governo, e fino all’ultimo momento con la Ragioneria generale dello Stato, sulle modifiche da apportare al capitolo dedicato appunto alla scuola, che era stato inserito peraltro con un successivo passaggio in Cdm innestandolo sull’iniziale versione del provvedimento.
È il decreto legge Pnrr 2, che contiene misure per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza con l’intenzione dichiarata di centrare il target e le milestone previsti in scadenza entro il primo semestre dell’anno. Il provvedimento, modificato durante un complicato esame nelle commissioni Affari costituzionali e Istruzione a Palazzo Madama, deve passare al vaglio, blindato, della Camera, dove è atteso in assemblea dal 27 giugno (scade già il 29 e va pubblicato in Gazzetta entro la deadline semestrale del 30), con preannunciata apposizione della questione di fiducia, come avvenuto al Senato.
Il testo ha infatti ottenuto in via libera mercoledì notte da Palazzo Madama, con 179 voti a favore e 22 contrari alla fiducia chiesta su un maxiemendamento interamente sostitutivo del ddl di conversione e che ha recepito “sostanzialmente le proposte emendative approvate dalle commissioni riunite”, come spiegato mercoledì sera in aula dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, dopo una lunga giornata – con diversi rinvii che hanno portato le dichiarazioni di voto a essere svolte solo dalle 22 passate – in cui si è consumato l’ennesimo scontro con la Ragioneria generale sulle questioni sollevate relative alle coperture finanziarie per le modifiche volute dalla maggioranza. Al punto che il senatore Andrea Cangini (FI), relatore del provvedimento assieme a Tatjana Rojc (Pd), in sede di replica al termine della discussione sul testo in assemblea ha detto che “anche alla luce di cose successe oggi, l’interlocutore del Parlamento non è stato e non è il Governo; l’interlocutore del Parlamento sono le strutture tecnico-amministrative che appoggiano o dovrebbero appoggiare le azioni del Governo”.
E ancora: “In questi giorni abbiamo visto succedere cose abbastanza inedite: abbiamo visto capi di gabinetto spiegarci il contesto internazionale nel quale ci muovevamo; abbiamo visto emendamenti piovere nei nostri testi senza che nessuno ci avesse avvertiti di questo; abbiamo partecipato a riunioni sulla scuola in assenza del ministro dell’Istruzione; abbiamo visto la Ragioneria generale dello Stato dare pareri su emendamenti che non erano passati per le nostre commissioni. L’impressione, insomma, è che l’interlocutore del Parlamento sia la Ragioneria generale dello Stato“; “abbiamo chiuso un accordo tra ministero dell’Istruzione e Mef, in base al quale sono stati redatti degli emendamenti; quegli emendamenti sono stati votati dalla commissione Bilancio di questo ramo del Parlamento e abbiamo scoperto oggi che quell’accordo non valeva nulla, perché un dipartimento del ministero dell’Economia, la Ragioneria generale dello Stato, ha deciso che non valevano nulla. Questo obiettivamente crea problemi”.
Il nodo principale è rimasto quindi fino all’ultimo quello delle misure sulla scuola. Sul punto, la capogruppo dem Simona Malpezzi, durante le dichiarazioni di voto, ha detto che “è sbagliato dire che il provvedimento al nostro esame taglia 10mila docenti. La maggioranza ha evitato qualsiasi forma di taglio e ha fatto in modo che quelle risorse potessero essere dedicate ad altro, non con il taglio dei docenti, ma con una formula che non condividiamo fino in fondo, ma che è sicuramente migliorativa. Diciamo così: è una sorta di congelamento dell’organico fino al 2031, che non volevamo e sul quale interverremo, mantenendo chiaro però il principio per cui i risparmi della scuola devono tornare alla scuola”.
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@Locchiaperti