Premierato: le critiche dei giuristi, i dubbi della politica

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Il testo della riforma costituzionale – che qualora fosse approvata introdurrebbe il premierato in Italia – è stato appena licenziato, ma ha già attirato numerose critiche e osservazioni di giuristi e politici (finanche della maggioranza). La meno scontata di tutte arriva dall’ex presidente del Senato e attuale senatore di Fratelli d’Italia, Marcello Pera. “Eleggere direttamente il presidente del Consiglio va sicuramente nel senso di rafforzare la stabilità del governo. Ma il premierato inglese presuppone due partiti, e qui invece si devono costruire per legge due coalizioni”, ha detto Pera al Sole 24 Ore: “Qui si vuole lasciare ‘intatte’ le prerogative del presidente della Repubblica, come si dice in modo palesemente insincero. Perché è evidente che se si rafforza la figura del primo ministro necessariamente si indebolisce quella del presidente. Il rischio è che si instauri una diarchia istituzionale e politica o un bi-presidenzialismo, fonte di tensioni e attriti”.

Anche Stefano Ceccanti, docente di diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma, dice che la riforma è un pasticcio costituzionale: “Il testo appare del tutto distante dalle proposte che sin qui avevano immaginato con equilibrio di importare il premierato in Italia, che per lo più si basavano su un’indicazione (non un’elezione diretta) di un Primo ministro abbinata a un sistema prevalentemente maggioritario e su poteri analoghi a quelli del Cancelliere tedesco (fiducia al solo Cancelliere da parte di una sola Camera, potere di chiedere al capo dello Stato la revoca oltre che la nomina dei ministri, sfiducia costruttiva con indicazione di un nuovo premier a maggioranza assoluta, potere di chiedere elezioni anticipate qualora sconfitto sulla fiducia, che sono concesse qualora entro pochi giorni la Camera non elegga un nuovo premier a maggioranza assoluta)”.

Qui invece vi è l’elezione diretta, prosegue Ceccanti, “ma non vi sono questi poteri: la fiducia resta bicamerale (e l’elezione delle due Camere messa sulla stessa scheda), per revocare i ministri bisogna ancora passare per la sfiducia individuale, lo scioglimento in realtà finisce per slittare sull’eventuale secondo premier della legislatura perché quello non è sostituibile. L’idea di fondo sembra quella di affidare tutto al trascinamento di fatto dell’elezione diretta che porterebbe a prendere dei poteri non formalmente riconosciuti: un approccio divaricante rispetto al costituzionalismo liberaldemocratico”. Ma il testo non è neanche affatto corrispondente allo schema semplice di premierato elettivo previsto per i Comuni, “il cosiddetto sindaco d’Italia, basato sul simul stabunt simul cadent tra premier e assemblea: qui al premier eletto non basta l’elezione ma deve poi riprendere la fiducia con l’intero Governo; può essere sostituito da qualcuno che è stato eletto dentro la stessa maggioranza, ma tranne il richiamo etereo alla continuità di programma, il secondo premier può in realtà costruirsi una maggioranza come vuole. In questo modo è evidente che si fotografa e si incentiva la conflittualità tra i leader dei partiti della maggioranza. Il secondo premier è più forte del primo perché solo la sua caduta porterebbe al voto anticipato, non quella dell’eletto direttamente. Il progetto dovrebbe quindi essere rifiutato, a logica, anche dai sostenitori del sindaco d’Italia”.

Del tutto anomala “anche la configurazione rispetto alle elezioni dirette conosciute nelle grandi democrazie europee, quelle dei capi di Stato, che richiedono sempre la maggioranza assoluta con eventuale ballottaggio a due. In questo caso il quorum esigente sarebbe ancor più doveroso perché all’elezione diretta di un premier è agganciata una maggioranza garantita in seggi del 55 per cento. È impensabile una norma così precisa nell’assegnare i seggi e che nel contempo lascia alla legge ordinaria l’eventuale quorum e il numero dei turni con cui eleggere il premier e assegnare detta maggioranza”. Anomala rispetto alle elezioni dirette europee (anche a quelle italiane) è l’assenza del tetto ai mandati: “La concentrazione del potere ha bisogno di essere limitata nel tempo. Un’occasione che astrattamente avrebbe potuto essere utilizzata in modo consensuale, se avesse attinto a proposte e a regolarità già note, deve al momento ritenersi incamminata su un binario del tutto sbagliato”.

E queste sono le osservazioni giuridiche nel merito della riforma. Poi c’è la questione politica. Che cosa ci vuole fare Giorgia Meloni con questa riforma? Vuole fare un referendum su sé stessa o sul Governo di cui è presidente del Consiglio? La leader di Fratelli d’Italia è politicamente accorta e di fronte alla possibilità di una sonora sconfitta referendaria utilizzerebbe più cautela. Non farebbe insomma come Matteo Renzi, che nel 2016 legò la durata del suo Esecutivo e persino la sua esistenza come leader politico al risultato del referendum costituzionale. Viene da chiedersi tuttavia se non sia in grado di vincerlo, Meloni, questo referendum. A differenza di altri leader politici, la presidente del Consiglio non suscita analoga ostilità, almeno per ora (in futuro chissà). Il cammino sarebbe lungo, perché – come spiega l’articolo 138 della Costituzione – “le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione”. Le leggi stesse sono sottoposte “a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.

Dall’atteggiamento dell’opposizione nelle prossime settimane si capirà anche chi riuscirà a prevalere nel discorso pubblico. Una sfida che è anche interna alla stessa opposizione, nel rinnovato duello fra Giuseppe Conte e Elly Schlein per la guida dei progressisti italiani. L’ultima volta, quando il leader del Pd, era un altro, non finì benissimo. Dopo aver votato per tre volte No in Parlamento, i dem si unirono al Sì alla riforma che ha tagliato il numero dei parlamentari, disconoscendo quindi la linea politica precedente. Stavolta il Pd potrebbe unirsi di nuovo all’“allarme fascista” sollevato da Conte oppure imbracciare qualche soluzione che consenta delle riforme senza stravolgere la Costituzione. Proprio nei giorni scorsi, parlando con Public Policy, il senatore Dario Parrini ha detto che “il centrosinistra deve dire insieme un no e un sì. No a questa riforma e un sì a una sua riforma: il modello tedesco. La pura difesa dell’esistente è perdente”.

Per questo il centrosinistra dovrebbe puntare sul modello tedesco, ha spiegato ancora Parrini, che ha la sfiducia costruttiva, “ma non solo quella. Prevede l’elezione parlamentare del premier in una sola Camera, cosicché la fiducia va a lui e non all’intero governo. Il premer ha il potere di proporre al capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e lo scioglimento in caso di sconfitta su un voto fiduciario”. Il modello tedesco inoltre prevede il “superamento del bicameralismo perfetto in direzione di un bicameralismo differenziato. Ha una legge sui partiti degna di questo nome, con disciplina pubblica della loro democrazia interna. È previsto anche il finanziamento pubblico. Ha una legge elettorale sufficientemente selettiva e pro governabilità. Porta cioè il premier a governi più stabili e solidi senza uscire dalla forma di governo parlamentare”. Il progetto dell’attuale governo è invece “la liquidazione della forma di governo parlamentare per realizzare una sorta di presidenzialismo di fatto o criptopresidenzialismo che nessuna Repubblica parlamentare al mondo utilizza”. In quanti nel Pd sono però d’accordo con questa impostazione? (Public Policy)

@davidallegranti