Le mille e una proposte per modificare l’Italicum

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di Luca Iacovacci

ROMA (Public Policy) – In vista del referendum di ottobre sulla riforma della Costituzione, molto si discute del cosiddetto ‘combinato disposto’ tra la riforma e la legge elettorale prevista per le elezioni politiche nazionali, l’Italicum (valido per la sola Camera dei deputati).

C’è, da un parte, chi sostiene che con questa nuova legge elettorale e con la riforma Boschi sia garantita una maggiore governabilità alla maggioranza parlamentare (sempre che al referendum vincano i sì) mentre altri vedono tale combinazione, riforma più legge elettorale, come preludio a possibili esiti degenerativi del sistema democratico, con la possibilità di “un partito solo al comando”.

Al di là dei giudizi di merito, è incontrovertibile che le questioni siano strettamente connesse. L’Italicum, legge 52 del 2015, è entrato in vigore il 23 maggio 2015 ma le disposizioni per l’elezione di Montecitorio decorrono dal 1° luglio 2016 (per il Senato la riforma costituzionale prevede un sistema d’elezione indiretto).

La legge, quindi, è vigente e, come tale, suscettibile di essere modificata. Al Senato e alla Camera ci sono alcune proposte depositate che vogliono, quindi, modificarla.

Un ddl (n. 2056) a Palazzo Madama di Paolo Romani e Maurizio Gasparri (capogruppo di FI il primo, vicepresidente del Senato il secondo) punta a modificare la legge 52 del 2015 sulle disposizioni relative all’assegnazione del premio di maggioranza, non più in favore esclusivamente della singola lista, bensì nei confronti della lista o coalizione di liste che abbia ottenuto almeno il 40% dei voti al primo turno elettorale, facendo accedere alla ripartizione dei seggi (ora alle liste che ottengono almeno il 3% dei voti) anche le coalizioni con almeno il 12%.

In caso di soglia non raggiunta, ballottaggio, al secondo turno, tra liste, o coalizioni, che hanno ottenuto il maggior numero di voti e premio di maggioranza al vincente. O, a questo punto, ai vincenti.

La proposta dell’ex ministro per le riforme nel governo Letta, Gaetano Quaglieriello, ora in Gal, non si discosta molto: sostituire la previsione vigente che solamente le liste con almeno il 3% possano accedere al riparto dei voti con quella che, a farlo, siano le coalizioni che abbiano almeno il 10% dei voti validi e che contengono almeno una lista che ottiene, su base nazionale, per lo meno il 3%. Per premio di maggioranza, e ipotesi di ballottaggio, come FI.

Sempre a Palazzo Madama c’è una proposta di Enrico Buemi, vicepresidente del gruppo delle Autonomie ed esponente del Psi, a cui stanno bene le attuali norme della legge elettorale di Montecitorio ma non per le prime elezioni “successive al 1º luglio 2016”.

Per le quali, questa la proposta, vuole che anche le coalizioni (con almeno 10% voti e una lista al 3%), oltre alle liste, possano contendersi la vittoria. Diverse proposte di modifica sono state già depositate anche a Montecitorio, naturalmente.

Tra le più interessanti c’è quella di Giuseppe Lauricella, della minoranza Pd, che prevede l’eliminazione del secondo turno di ballottaggio, ipotesi “che trova riscontro soltanto nel nostro sistema ma a livello locale”. Per Lauricella, dunque, ok al premio di maggioranza, no ballottaggio.

C’è anche il progetto di modifica di Pino Pisicchio, capogruppo del Misto, che, per la ripartizione dei seggi propone liste con almeno il 4% dei voti e coalizioni che raggiungano almeno l’8% (con una lista all’interno che sia almeno al 3%).

Poi ballottaggio, se nessuno raggiunge il 40% dei voti, e premio. Ma ballottaggio che, per Pisicchio, deve salvare in ogni caso la possibilità, per le due liste o coalizioni di liste ammesse, di apparentamento con altre liste che al primo turno abbiano conseguito (sul piano nazionale) almeno il 3% (la disciplina vigente dell’Italucim vieta gli apparentamenti) e che “è valido solo se vi prende parte la maggioranza degli aventi diritto al voto”. Altrimenti, ripartizione dei seggi col proporzionale.

Insomma, connessa con il referendum c’è anche la questione della legge elettorale, verso cui le proposte di modifica non mancano di certo. (Public Policy)