RAPPORTO ISTAT-CNEL, IL BENESSERE EQUO E SOSTENIBILE / SCHEDA

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(Public Policy) – Roma, 11 mar – Negli ultimi anni si è
sviluppato un dibattito sulla misurazione del benessere
degli individui e delle società. Le crisi alimentare,
energetica e ambientale, finanziaria, economica, sociale
hanno reso urgente lo sviluppo di nuovi parametri di
carattere statistico in grado di guidare sia i decisori
politici nel disegno degli interventi, sia i comportamenti
individuali delle imprese e delle persone.

Ferma restando l’importanza del Prodotto interno lordo
(Pil) come misura dei risultati economici di una
collettività, è ampiamente riconosciuta la necessità di
integrare tale misura con indicatori di carattere economico,
ambientale e sociale che rendano esaustiva la valutazione
sullo stato e sul progresso di una società.

Con il primo rapporto sul ‘Benessere equo e sostenibile
(Bes)’, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel) e
l’Istituto nazionale di statistica (Istat) presentano i
risultati di un’iniziativa inter-istituzionale (consultabile
su www.misuredelbenessere.it).

‘Domandarsi quali siano le dimensioni del benessere e come
misurarle – scrivono nella presentazione del Rapporto i
presidenti del Cnel Antonio Marzano e dell’Istat Enrico
Giovannini – equivale a condurre una riflessione su quali
siano i fenomeni che è necessario prendere in considerazione
per migliorare il nostro Paese, su come definire obiettivi
di breve e lungo periodo e su come valutare i risultati
dell’azione pubblica. In questo senso, gli indicatori del
Bes aspirano a divenire una sorta di ‘Costituzione
statistica’, cioè un riferimento costante e condiviso dalla
società italiana in grado di segnare la direzione del
progresso che la medesima società vorrebbe realizzare’.

SALUTE
La vita media continua ad aumentare, collocando l’Italia
tra i Paesi più longevi d’Europa. Le donne, a fronte dello
storico vantaggio rispetto agli uomini in termini di
longevità (che tuttavia si va riducendo), sono più
svantaggiate in termini di qualità della sopravvivenza: in
media, oltre un terzo della loro vita è vissuto in
condizioni di salute non buone.

La mortalità infantile, da incidenti da mezzi di trasporto
e da tumori, cioè quei fenomeni che possono essere inclusi
nella cosiddetta ‘mortalità evitabile’, sono in calo nel
lungo periodo, mentre crescono i decessi per demenza senile
e malattie del sistema nervoso.
Ma la popolazione continua a essere minacciata da
comportamenti a rischio: l’obesità è in crescita (circa il
45% della popolazione maggiorenne è in sovrappeso o obesa);
l’abitudine al fumo mostra solo una lieve flessione, che
però non riguarda i più giovani (se nel 2001 i fumatori
erano il 23,7% della popolazione di 14 anni e più, dieci
anni dopo tale percentuale, stabile dal 2004, è scesa solo
di un punto).

Tra i giovani, peraltro, si
sono diffuse pratiche di abusi nel consumo di bevande
alcoliche.

Uno stile di vita sedentario caratterizza una proporzione
non indifferente di adulti (circa il 40% non svolge alcuna
attività fisica nel tempo libero); inoltre, in Italia oltre
l’80% della popolazione consuma meno frutta e verdura di
quanto raccomandato.

ISTRUZIONE
L’Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti
nell’ultimo decennio, non è ancora in grado di offrire a
tutti i giovani la possibilità di un’educazione adeguata.
Il ritardo rispetto alla media europea e il fortissimo
divario territoriale si riscontrano in tutti gli indicatori
che rispecchiano istruzione, formazione continua e
livelli di competenze. Ad esempio, la quota di persone di
30-34 anni che hanno conseguito un titolo universitario è
del 20,3% in Italia a fronte del 34,6% della media europea.
A causa della crisi economica, che ha colpito più duramente
i giovani, è aumentata la quota di Neet, ossia di giovani di
15-29 anni che non lavorano e non studiano (dal 19,5% del
2009 al 22,7% del 2011).

Permangono, poi, forti differenze territoriali: nel 2011 la
quota di persone di 25-64 anni con almeno il diploma
superiore era del 59% al Nord e del 48,7% nel Mezzogiorno.
Analogamente, nel Mezzogiorno i giovani Neet rappresentano
il 31,9% del totale della popolazione di quell’età, una
quota doppia rispetta a quella del Nord (15,4%).

LAVORO
Tutti gli indicatori disponibili segnalano un cattivo
impiego delle risorse umane del Paese, soprattutto nel campo
del lavoro femminile e dei giovani. Il tasso di occupazione
e quello di mancata partecipazione al lavoro, già tra i più
critici dell’Unione europea, sono ulteriormente peggiorati
negli ultimi anni a causa della crisi economica.

Nella classe 20-64 anni il tasso di occupazione è sceso dal
63% del 2008 al 61,2% del 2011, mentre il tasso di mancata
partecipazione è aumentato dal 15,6% al 17,9%.
Anche la presenza di lavoratori con bassa remunerazione
(10,5%) e di occupati irregolari (10,3%) rimane
sostanzialmente stabile negli ultimi anni, ma cresce la
percentuale di lavoratori sovraistruiti rispetto alle
attività svolte (21,1% nel 2010).

(segue in abbonamento)

SPE