I record della popolazione europea che in pochi vogliono discutere

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In Europa non ci sono mai stati tanti lavoratori come quest’anno e nel mondo non ci sono mai stati tanti Europei come oggi. I mutamenti demografici però, già da domani, mettono a rischio il modello sociale, il peso economico e l’importanza geopolitica del continente. Uno studio (sottovalutato) della Commissione Ue.

di Marco Valerio Lo Prete

ROMA (Public Policy) – In Europa non ci sono mai stati tanti lavoratori come quest’anno, e non ce ne saranno mai più così tanti. Nel mondo non ci sono mai stati tanti Europei come oggi, e a partire dal 2025 non ce ne saranno mai più altrettanti (a meno di imprevedibili rivoluzioni nelle abitudini riproduttive degli stessi). Inoltre, in ragione degli squilibri demografici crescenti della popolazione europea, e soprattutto dell’assottigliamento della sua fascia più giovane e produttiva, il peso economico e geopolitico del nostro Continente, così come la tenuta del suo Stato sociale, sono a rischio.

Questa è la possibile sintesi del primo “Rapporto sull’impatto del cambiamento demografico”, pubblicato la scorsa settimana dalla Commissione europea. In gergo giornalistico si potrebbe dire che “la notizia c’è tutta”, invece le trenta pagine (più un allegato tecnico) vergate dall’esecutivo di Bruxelles rischiano di passare sotto silenzio in un’Italia assuefatta al profluvio di dati, rapporti, white papers, eccetera, prodotti dall’Unione europea. Eppure siamo senza dubbio di fronte a una “prima volta”. Perché è senza precedenti la scelta dell’attuale Commissione, guidata dalla tedesca Ursula Von der Leyen, di dotarsi di un portafoglio ad hoc per la Demografia. E perché senza precedenti sono alcune delle conclusioni del rapporto appena pubblicato.

Gli Europei sono sempre più anziani e sempre meno numerosi 

In apertura, nella fotografia della popolazione attuale scattata dai ricercatori di Bruxelles, si alternano luci e ombre, con le seconde che però guadagnano rapidamente terreno oscurando le prime. La buona notizia è che “gli Europei vivono più a lungo e mediamente sono in buona salute per più tempo”. Dal 1960 a oggi, l’aspettativa di vita è aumentata di 10 anni, e continuerà ad aumentare nei prossimi 50 anni. Un uomo europeo nato nel 2018 ha in media davanti a sé 78,2 anni di vita, nel 2070 ne avrà 86,1; una donna parte oggi da 83,7 anni di aspettativa di vita media e arriverà a 90,3 nel 2070. Non solo: già oggi un cittadino dell’Ue vive per circa 64 anni in buona salute (73 anni se svedese, 51 se lettone). Ad avere oltre 65 anni d’età oggi è un europeo su cinque, nell’arco di cinquant’anni sarà quasi un europeo su tre.

Primo grande problema: tali magnifiche sorti e progressive saranno riservate in futuro a un numero sempre minore di Europei. Il tasso di fecondità medio infatti, cioè il numero medio di figli per donna, è pari a 1,55 nell’Unione europea, decisamente sotto il valore di 2,1 richiesto per mantenere stabile una popolazione (in assenza di immigrazione). In alcune regioni – il rapporto cita tra le altre la Sardegna – il dato addirittura scende a 1,25. È dal 2012 che, nei 27 Stati dell’Unione, i decessi superano ogni anno le nascite. Finora però l’immigrazione (crescente) ha impedito che la popolazione complessiva declinasse. “Negli ultimi 35 anni l’Europa è stato un continente di immigrazione netta. Dalla metà degli anni 80, le persone che si sono trasferite all’interno dei confini europei sono sempre state di più di quelle che ne sono uscite”. I cittadini europei convivono da tempo con flussi migratori intensi: ai 21,8 milioni di immigrati regolari provenienti dai Paesi terzi e oggi residenti nell’Ue, si aggiungono i 13,3 milioni di cittadini dell’Ue che vivono in un Paese Ue diverso da quello di nascita. Nonostante ciò, e visto che i nuovi arrivati tendono col tempo ad assumere i comportamenti riproduttivi degli autoctoni, la popolazione europea potrebbe già aver raggiunto il picco numerico della sua storia secolare: oggi nell’Ue a 27 ci sono 447 milioni di residenti, diventeranno 449 milioni tra cinque anni, poi inizieranno a diminuire tra dieci anni, e la previsione è che – nonostante l’immigrazione – scendano a 424 milioni tra cinquant’anni.

L’impatto della demografia su crescita economica e bilanci pubblici 

In futuro, se le tendenze demografiche appena descritte non cambieranno, è dunque statisticamente certo che saranno sempre meno gli Europei in grado di godersi vite sempre più lunghe. Non solo. Il secondo problema di fondo indicato dal Rapporto della Commissione è che anche gli Europei “rimasti”, rebus sic stantibus, incontreranno crescenti difficoltà a mantenere gli odierni standard di benessere, a meno di un radicale ripensamento del modello attuale di welfare state. Gli effetti del mutamento demografico sull’economia europea infatti sono silenziosi ma dirompenti. Il primo riguarda la forza lavoro: “La popolazione in età lavorativa si sta restringendo da un decennio a questa parte, e si prevede una contrazione del 18% da qui al 2070”. Oggi gli Europei di età compresa tra i 15 e i 65 anni sono 265 milioni; nel 2050, diventeranno 230 milioni; nel 2070, 220 milioni. Già quest’anno, però, potremmo aver raggiunto in Europa il record numerico di lavoratori, secondo la Commissione. Dal prossimo anno il numero di occupati inizierà a scendere inesorabilmente; la pandemia e i suoi effetti negativi sull’economia accelereranno la tendenza, avverte l’esecutivo comunitario. Da qui i suggerimenti di Bruxelles per attenuare l’impatto della demografia cangiante sulla forza lavoro: aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, accrescere la conciliazione tra lavoro e vita privata (nel 2019 il tasso di occupazione per le donne con figli di meno di 6 anni d’età era di 14 punti inferiore rispetto a quello delle donne senza figli), coinvolgere più anziani nel mondo del lavoro, accrescere il tasso di occupazione di disabili e immigrati (curiosamente la Commissione non fa nessun riferimento a incentivi diretti alla natalità). Allo stesso tempo sarà decisivo incrementare la produttività dei lavoratori, visto che “secondo le proiezioni della Commissione, stabilizzare la crescita del Pil all’1,3% fino al 2070 richiederebbe un aumento della produttività del lavoro dell’1,5% in media ogni anno. Tuttavia la produttività è in calo da tempo, e comunque inferiore all’1% già prima che iniziasse l’attuale crisi”.

Sempre la pandemia ha dimostrato ancora una volta che una popolazione mediamente più anziana è anche più fragile in termini di salute e richiede nuovi tipi di cure sanitarie. “Attualmente all’incirca 50 milioni di cittadini europei soffrono di due o più patologie croniche, e la maggior parte di queste persone ha più di 65 anni”, si legge nel rapporto. Adeguare strutture sanitarie e servizi sociali a una simile sfida non è semplice. Soprattutto, ha un prezzo. “Prima della crisi, il costo complessivo di tutto ciò che è legato all’invecchiamento nell’Ue si stimava che sarebbe arrivato a pesare quanto il 26,6% del Pil nel 2070”. Tale fardello graverà sulle spalle di un numero sempre minore di persone: “Nel 2019 c’erano in media 2,9 persone in età lavorativa per ogni persona over 65, mentre nel 2070 questo rapporto sarà di 1,7 a 1”. Tra le conseguenze: “La povertà diffusa tra gli anziani probabilmente costituirà una fonte di preoccupazione sempre più grave col procedere del mutamento demografico”. Meno siamo, meglio stiamo? Col sistema attuale di welfare pubblico europeo non è così, a giudicare dai dati della Commissione.

I tecnici dell’esecutivo comunitario sottolineano inoltre come i cambiamenti demografici rischino di aggravare certe forme di disuguaglianza. Il Rapporto infatti, pur avendo la peculiarità di trattare l’Unione europea come un tutt’uno, correttamente ricorda che non tutte le regioni dell’Ue sono colpite allo stesso modo dal declino demografico. Ci sono, per esempio, “31 milioni di persone, ovvero il 7% della popolazione dell’Ue, che vivono in una regione che fronteggia la duplice sfida di un rapido declino della popolazione e di un basso Pil pro capite. Molte di queste regioni sono nei Paesi baltici, in Bulgaria, Croazia, Ungheria, Portogallo e Romania. Ci sono anche alcune regioni in una condizione simile che si trovano in Grecia, in Spagna, così come nella Germania orientale, in Francia e in Polonia”. Bruxelles non nega le possibili implicazioni politiche di questo processo: “Il declino economico in alcune regioni specifiche non è solo una sfida per la coesione territoriale – osserva la Commissione – ma può generare una ‘geografia del malcontento’. Se le persone percepiscono di essere lasciate indietro, potrebbero perdere fiducia nella giustizia della nostra economia e nelle istituzioni democratiche”.

Sostenibilità e geopolitica della demografia 

Nel settembre del 2019, presentando per la prima volta i componenti del nuovo esecutivo, la Presidente Von der Leyen disse che la sua sarebbe stata “una Commissione geopolitica, impegnata in politiche sostenibili”. Il Rapporto sulla demografia appena pubblicato è in linea con quell’aspirazione, non soltanto perché finalmente inserisce l’andamento della popolazione nell’analisi complessiva della “sostenibilità” di una società. Ma anche perché un intero capitolo è dedicato alla “geopolitica della demografia”, cioè al modo in cui i mutamenti della popolazione potrebbero influenzare il ruolo dell’“Europa nel mondo”. Qui si riconosce esplicitamente che “la dimensione di una popolazione e di un’economia giocano un ruolo importante nelle strutture di potere globali”. Alla luce dei dati di cui sopra, la popolazione dei 27 Stati dell’Unione europea rappresenta una quota in diminuzione della popolazione globale: nel 1960 era pari al 12% del totale, oggi è scesa al 6% e al 2070 sarà meno del 4% del totale.

Nel frattempo il vicino continente africano, si legge sempre nello studio, vedrà la sua quota di popolazione passare dal 9% della popolazione mondiale al 32%. Pure la ricchezza prodotta in Europa diventa relativamente meno importante: nel 2004 il Pil europeo era pari al 18,3% del Pil globale, nel 2018 è sceso al 14,3%. Conclude dunque la Commissione: “Con una popolazione in età da lavoro in calo, c’è il rischio che questa tendenza proseguirà o addirittura accelererà. Gli Stati membri diventeranno player economici più marginali ma, collettivamente intesa, l’Ue continuerà a essere un player economico, politico e diplomatico importante”. In questo passaggio conclusivo, e considerata l’attuale grado di coesione dell’Ue a 27, analisi fattuale e wishful thinking tendono evidentemente a sovrapporsi. Per capire quali dei due approcci prevarrà nei prossimi mesi, sarà utile capire che seguito avrà – in termini di proposte e rimedi – questo originale Rapporto sulla demografia. (Public Policy)

@marcovaleriolp