Salario minimo, Marattin spiega perché Iv non ha firmato

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Un sussulto dell’opposizione parlamentare, che trova unità sul salario minimo a 9 euro l’ora, mentre il Governo Meloni è in molte faccende affaccendato, dalla crisi europea dei migranti al Mes. Una proposta di legge firmata da quasi tutti, da Pd a M5s. Manca però Italia viva, che ha scelto di non sostenere l’iniziativa. Luigi Marattin, deputato ed economista di Iv, spiega perché.

Anche nelle proposte elettorali dell’ex Terzo polo c’era una proposta simile. Simile ma con alcune significative differenze, dice Marattin: “Rispetto alla proposta di legge del Terzo polo, c’è una differenza importante. Il valore di 9 euro l’ora non è più riferito alla retribuzione complessiva (cioè tutto ciò che va in tasca al lavoratore) ma solo a quella tabellare, che evidentemente è più bassa. Ne deriva che il valore di 9 euro – se rapportato alla retribuzione complessiva, e quindi reale – rappresenta un valore piuttosto alto. Pari al 75 per cento del salario mediano, quando le indicazioni non solo della Ue ma di tutte le organizzazioni internazionali sono di un salario minimo non superiore al 60 per cento del salario mediano”.

Il Parlamento europeo nel settembre 2022 ha approvato la nuova legislazione sui salari minimi adeguati nell’Unione europea. La definizione del salario minimo rimane di competenza dei singoli Stati membri, che però dovranno seguire alcuni criteri: i Paesi Ue potranno determinare un paniere di beni e servizi a prezzi reali, o fissarlo, appunto, al 60 per cento del salario mediano lordo e al 50 per cento del salario medio lordo. Certo, dice Marattin, sarebbe molto bello se il salario minimo fosse più alto: “Nel mondo degli slogan e dell’immagine sì. In quello reale purtroppo no. Se tutto quello che conta fosse dare il più possibile al lavoratore, allora non ci sarebbe limite al salario minimo… se giochiamo al ‘più alto, meglio è’, allora perché non fissare il livello a 1000 euro l’ora? Nella realtà le cose stanno un po’ diversamente. Il salario infatti è un prezzo come tutti gli altri: da un lato (quello dell’offerta) rappresenta la remunerazione di chi vende, dall’altro (quello della domanda) il prezzo di chi compra. Se questo prezzo viene fissato per legge ad un livello troppo alto rispetto a quello che mette il più possibile in equilibrio domanda e offerta, non sarà conveniente domandare lavoro e quindi si produrrà un eccesso di offerta: vale a dire, aumento della disoccupazione. Può sembrare una questione minore. Ma a volte il diavolo sta nei dettagli, e su queste cose bisogna stare particolarmente attenti; perché se sbagli clamorosamente livello, in una struttura produttiva come quella italiana rischi di fare danni seri. Allora abbiamo preferito non firmare e discuteremo la cosa in Parlamento con assoluta serenità, numeri alla mano, quando la proposta verrà calendarizzata”.

L’Italia ha almeno tre problemi, dice Marattin, uno di questi sono i salari troppo bassi. “Solo che – sempre nel mondo reale – bisogna stare attenti a come si cerca di risolverlo. Noi ad esempio abbiamo almeno tre proposte concrete”. La prima “è l’imposta negativa, che negli Stati Uniti fin dagli Anni 70 ha dimostrato ottimi risultati nel combattere la povertà lavorativa. Il meccanismo è semplice: per livelli di reddito particolarmente bassi, lo Stato ti applica un’aliquota negativa (cioè ti dà soldi, invece di prenderli), e in misura maggiore quanto più alto è il tuo sforzo. Cioè: più ti impegni più ti aiuto. Il contrario del sussidio parassitario insomma. La seconda è la detassazione completa della contrattazione territoriale e/o aziendale. In altre parole: lo Stato si tira fuori da ogni pretesa economica quando gli aumenti salariali sono decisi là dove lo scambio tra salari e produttività è più facilmente raggiungibile, e dove avviene con più efficienza l’incontro tra capitale e lavoro. La terza è una forte politica di incentivi alle fusioni tra imprese, specialmente nel caso di piccolissime realtà a bassa specializzazione: aziende di dimensioni maggiori pagano, mediamente, salari più alti”.

Per questo, insomma, Italia viva non ha ritenuto attrattiva la proposta di “unità delle opposizioni”. Peraltro resta da capire quanto queste opposizioni in futuro potranno essere unitarie su tutto il resto. Sulla guerra, per esempio. Potrebbe essere tuttavia una alleanza provvisoria, one issue, come Carlo Calenda, leader di Azione, che ha firmato criticando la decisione di Matteo Renzi di non farlo, sembra suggerire. Il Governo è inevitabilmente critico sulla proposta del salario minimo, dice che non serve una legge e che l’obiettivo è detassare il costo del lavoro.

Anche in Germania c’è un dibattito sui compensi, con un salario minimo ben più alto di quello italiano. Lì la soglia è stata aumentata di recente, nell’ottobre 2022, da 10,45 a 12 euro l’ora. La Commissione sul salario minimo, composta da datori di lavoro, sindacati ed esperti, ha raccomandato un aumento a 12,41 euro nel 2024 e 12,82 euro nel 2025. C’è però una spiegazione, per la differenza dei salari fra Italia e Germania: i 12,42 per cento l’ora sono il 58 per cento del salario mediano, quindi sotto la soglia del 60 per cento stabilita dall’Europa. In più, ha notato Il Foglio, “in Germania il livello del salario minimo non è fissato per legge dal Parlamento, in una gara populista a chi offre di più”. C’è appunto una commissione tecnica, a occuparsene. (Public Policy)

@davidallegranti