di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – La legge di Bilancio è finalmente arrivata in Parlamento, dopo essere stata licenziata dal Consiglio dei ministri lo scorso 16 ottobre. La cosiddetta manovra è stata preceduta da costanti richiami della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti agli alleati: i quattrini sono pochi, vediamo di non esagerare con le richieste.
Le bozze circolate nei giorni scorsi hanno fatto adontare i segretari di partito della maggioranza. Matteo Salvini ha chiesto di eliminare la norma che nel 2024 sostituisce Quota 103 con Quota 104, aumentando di un anno quindi l’età per accedere a questa forma di pensione anticipata, mentre Antonio Tajani ha chiesto di rivedere l’aumento dal 21 al 26 per cento della cedolare secca sugli affitti brevi. Simili frizioni tutto sommato sono normali durante il periodo della legge di Bilancio, anche se l’attuale contesto politico in cui si muove Meloni ha una sua specificità. E non ci riferiamo qui alle vicende personali e al “caso Giambruno-Striscia la Notizia”, che pure ha delle ricadute politiche interne per quanto riguarda i rapporti con Forza Italia e con la famiglia Berlusconi.
La guerra in Ucraina scatenata dalla Russia e l’attacco di Hamas a Israele descrivono un mondo sempre più insicuro, nel quale sono la sensazione dell’incertezza e la sensazione della paura a essere globalizzate. Meloni ha scelto la via dell’atlantismo, scontentando anche una parte del suo elettorato. Era la via giusta, ma come in tutte le scelte politiche c’è un prezzo da pagare. La destra è convinta di poterle sottrarre voti e consensi anche a partire dalle sue decisioni in politica estera, criticate apertamente da alcuni ex compagni di viaggio di Meloni (pensiamo a quelli che militavano con lei in Alleanza Nazionale e che oggi prediligono l’extraparlamentarismo). Le elezioni europee diventano, dunque, ancor più rilevanti. Non solo perché c’è chi (come i populisti e l’ultra-destra) vorrebbe stravolgere il volto dell’Unione europea, ma anche perché ci faranno capire quanto potrà reggere Meloni al logoramento dei suoi alleati. Le leadership si consumano rapidamente, anche quelle apparentemente più durature.
La presidente del Consiglio non ha amici nemmeno tra i suoi alleati nell’Esecutivo, Forza Italia e Lega. La pressione su di lei sta aumentando da settimane, complice anche l’avvicinarsi delle elezioni europee, i cui meccanismi elettorali – si vota col proporzionale – scatenano l’identitarismo più sfrenato. Salvini sta cercando di recuperare la forma politico-elettorale di una stagione ormai remota, quella del 2018-2019, quando sembrava che il salvinismo potesse durare vent’anni. Fino alle elezioni europee tuttavia non ci saranno strappi. Quando però Meloni sarà maggioranza e Salvini no allora sì che inizieranno i problemi per il governo italiano. Fin qui la capacità del destra centro italiano nel tenere tutti insieme è stata notevole. Quasi un luogo comune: la destra litiga quotidianamente ma poi si presenta unita e compatta alle elezioni. Lo si è visto alle recenti amministrative, per esempio. Con alcune vicende locali giornalisticamente e politicamente interessanti, come il caso Massa, in Toscana, dove Fratelli d’Italia aveva sfiduciato il sindaco leghista, che poi si è ripresentato sostenuto dalla Lega e ha rivinto.
Il centrosinistra invece passa le giornate a discutere e da qualche tempo lo fa con Giuseppe Conte, l’ex punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti che però vede nel Pd un competitor, come è peraltro sempre stato fin da quando la creatura di Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo è nata. Per non parlare dell’ex Terzo polo, dove volano solo stracci. Alla fine, insomma, è l’opposizione il miglior alleato di Meloni. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)