di Enzo Papi*
ROMA (Public Policy) – L’economia classica oramai non interessa più i giovani economisti. Molto probabilmente se chiedessimo loro chi era David Ricardo avremmo risposte curiose o parecchie scene mute. Eppure la ricchezza che ci ha portato la cosiddetta “globalizzazione” dell’economia è stata prevista e descritta da questo economista inglese del primo 800. In un’epoca in cui si discuteva ancora se la ricchezza di uno Stato consistesse nelle sue riserve auree o nella quantità dei beni prodotti, Ricardo pensò alla ricchezza “degli Stati” e all’ottimizzazione di questa attraverso la specializzazione di ogni Stato nella produzione dei beni per i quali disponeva di fattori produttivi premianti. Tale teoria è diventata nota sotto il nome di teoria dei “vantaggi comparati” e di questa ne abbiamo fatto largo uso nel dopoguerra, in particolare dopo l’implosione del comunismo sovietico, la fine del mondo diviso in due blocchi e l’apertura della Cina all’economia di mercato.
L’apertura di questa parte del mondo al libero scambio con le economie occidentali ha avuto come effetto una crescita della ricchezza a livelli fino ad oggi sconosciuti nella storia.
La Russia e la Cina si sono aperti ai capitali e alle tecnologie occidentali. Il commercio di beni e servizi ha finito per interessare nuovi Paesi che contano circa 3 miliardi e mezzo di persone, che dispongono di una grande riserva di mano d’opera facilmente professionalizzabile a basso costo e che, insieme, costituiscono un nuovo grande, potenziale mercato. In queste condizioni la teoria di Ricardo, corredata dalla generale accettazione del principio del libero scambio richiesto per l’ingresso nel WTO, ha dato in pieno i suoi frutti. La Cina e i suoi Stati satelliti hanno conosciuto un rapido ed eccezionale sviluppo del Pil e l’Occidente ha potuto godere di beni a costi impossibili da ottenere sul proprio territorio.
La teoria di Ricardo presuppone però l’esistenza e la continuità di alcune condizioni senza le quali non può mantenersi efficace: la stabilità politica tra le aree interessate allo sviluppo dei “vantaggi comparati” ed un sistema monetario ancorato ad una base che renda il cambio misura effettiva di competitività relativa tra le economie. Il che significa una moneta ancorata ad un sottostante (storicamente l’oro) che non ne consenta una disponibilità sostanzialmente infinita. Ma di queste sue condizioni, la prima è in fase di rapido deterioramento e l’altra è esaurita da tempo.
La guerra aperta da Putin in onore del mito imperiale della Russia, ha obbligato l’Occidente a prendere atto che la pace e la collaborazione tra nazioni diverse resta precaria se non si condividono valori politici comuni. Aprire le economie ai benefici dei “vantaggi comparati” significa interconnetterle in modo strategico e la dipendenza strategica, alla lunga, non è accettabile tra diversi per identità politica. Oggi questa diffidenza “strategica”, oramai conclamata con la Russia di Putin, si sta estendendo anche alla Cina, la cui economia era diventata parte integrante delle filiere occidentali, con effetti che portano a prevedere economie “multilaterali”, in cui i vantaggi comparati saranno solo interni a queste aree.
È nata così una prima ipotesi di economia dei “Brics” alternativa, se non contrapposta a quella del G7, con effetti certamente disottimizzanti sulla produzione della ricchezza globale. D’altra parte la globalizzazione dell’economia aveva già cominciato ad erodersi sotto gli effetti della progressiva finanziarizzazione del cambio delle valute nazionali contro dollaro, moneta di riferimento del commercio mondiale, divenuta insensibile ai differenziali di competitività. Ciò ha permesso una sopravvalutazione permanente della moneta Usa che ha reso gli Stati Uniti ricchi per pochi e poveri per molti altri (oggi il 20% dispone del 70% della ricchezza) ed ha gravemente compromesso il sistema industriale interno. La rottura sociale che si nota nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali in corso ne è un esempio concreto.
In questo quadro, incertezza geoconomica e geopolitica non consentiranno più la creazione di nuova ricchezza da “vantaggi comparati”. Le economie tra aree politiche diverse continueranno a dialogare, ma non più per costruire insieme nuova ricchezza, la cui disponibilità per gli 8 miliardi di persone che oramai popolano il globo si farà più scarsa. Il WTO dovrà accettare che nuove barriere doganali sopperiscano all’insensibilita dei cambi ai differenziali competitivi, con conseguente inflazione da costi.
Si sta insomma avviando una nuova guerra fredda in cui culture politiche diverse proveranno a sopravvivere in ambienti ostili, con effetti certi anche sul consenso interno perché il cambio nelle filiere dell’economia mondiale e un maggior uso di monete alternative al dollaro, comporteranno una generale, diversa strutturazione interna dei processi di distribuzione della ricchezza e degli assetti sociali.
L’Europa delle 27 nazioni sovrane, tornata ad essere frontiera dell’impero russo, futuro satellite di quello ben più potente cinese, appare la più fragile nel nuovo contesto di separazione tra le economie. Legata agli Stati Uniti per la sua difesa ma non per la sua economia, che trovava più spontanea aggregazione con l’infinita disponibilità delle risorse energetiche russe, l’Europa è già davanti alla scelta non più rinviabile sulla continuità di un inevitabile declino o sull’accettare una nuova “identità” sovranazionale, basata sui valori anglosassoni della libertà dell’individuo che, nella sua storia recente, ha spesso proclamato, ma mai adottato in via definitiva. Andiamo verso un periodo storico nuovo in cui le culture prevarranno sulle utilità, e in cui la produzione avverrà non più dove costa meno, ma dove è garantita la sicurezza derivante dall’appartenenza politica.
Un assetto che l’Europa ha già ben conosciuto nella sua storia, prima assistendo alla divisione delle sponde del “mare nostrum” tra due fedi conflittuali (cristiana e musulmana) e poi dividendo il proprio continente tra due eresie cristiane (cattolica e luterana) pacificate, ma non integrate dalla pace di Westfalia, fino al disastro dell’ultima guerra mondiale. (Public Policy)
*presidente Termomeccanica SpA