(Public Policy) – Roma, 9 ott – (di Leopoldo Papi) A quasi
un anno e mezzo dal referendum sui servizi pubblici locali,
e a qualche mese dall’ultima sentenza della Corte
costituzionale (dello scorso 20 luglio), che bocciava per
incompatibilità con il risultato referendario l’apertura a
gestori privati, un nuovo testo di legge interviene sul
settore.
Il decreto sviluppo bis, approvato dal Governo alla fine
della scorsa settimana, impone agli enti affidatari di
pubblicare su internet entro il 31 dicembre 2013 una
relazione “che dia conto delle ragioni e della sussistenza
dei requisiti previsti dall’ordinamento europeo” per la
forma di affidamento prescelta, e che definisca “i contenuti
specifici degli obblighi di servizio pubblico, indicando le
compensazioni economiche se previste”.
Ma per Carlo Stagnaro, direttore ricerche e studi
dell’Istituto Bruno Leoni, non c’è niente di nuovo. La
norma, dice a Public Policy, sembra piuttosto “un bollino
blu sullo status quo, che di certo non ha nulla a che fare
con lo sviluppo economico”.
D. COSA NON VA IN QUESTA MISURA?
R. Mi sembra davvero una ‘non riforma’. Una presa d’atto
della realtà, senza nessuno sforzo volto a modificarla o
migliorarla. Nel senso che lì si dice, sostanzialmente, che
tutti gli affidamenti che sono stati o verranno effettuati
‘in house’, devono essere giustificati attraverso una
relazione da parte del soggetto affidante, ovviamente con
l’eccezione delle distribuzioni locale di gas elettricità,
che hanno già una disciplina propria.
Il problema è che di
questa relazione non si chiarisce a cosa serve, né si
specifica cosa deve esserci scritto dentro. Nessuno è
chiamato ad approvarla, né a dare un parere su di essa. La
prima impressione è che dopo la ‘bastonata’ della corte
costituzionale, la scelta del governo sia stata quella di
dire: “Ragazzi, se siete assenti a scuola fatevi la
giustificazione, firmatevela e a noi va bene”, come quando
si compiono 18 anni alle superiori.
D. EPPURE SEMBREREBBE UN TENTATIVO DI INTRODURRE PIÙ
TRASPARENZA.
R. Secondo me, nella maggior parte dei casi la relazione
sarà una mezza pagina in cui si dice che si è proceduto
all’affidamento diretto, e si intende confermarlo perché si
ritiene non vi siano le condizioni per fare una gara. Per
quel che capisco, non c’è neanche la richiesta all’interno
della relazione di produrre qualche forma di valutazione dei
costi e dei benefici, per quanto farlocca. Si dovrebbe
almeno spiegare perché si è scelto l’azienda A anziché B. Ma
se la relazione è “ho scelto A perché mi pareva più bello”,
ai sensi del decreto, non vedo chi potrebbe dirti che non va
bene.
D.SI CHIEDE PERÒ ALMENO DI DICHIARARE IL RISPETTO DELLE
NORME EUROPEE.
R. Le normative europee sui servizi pubblici locali
prevedono, anche se in modo non chiarissimo, che in linea di
principio debba essere fatta una gara d’appalto. Alla gara
si può derogare a una serie di condizioni, in particolare
quando, per ragioni che possono essere normate a livello
nazionale, appare utile o ragionevole procedere con gestione
‘in house’, cioè con l’affidamento diretto a soggetti che
siano controllati dall’ente affidante.
Ora, c’era tutto un filone normativo, in modo più o meno
ben scritto, dal ddl Lanzillotta, alla legge Ronchi, alla
legge post-referendaria fatta da Tremonti, modificata da
Monti e poi stralciata dalla Consulta, la cui logica era
definire in modo preciso a quali condizioni si può derogare
all’obbligo di gara per procedere all’affidamento in house.
Questo decreto chiede di motivare un affidamento in house,
ma oltre a dare indicazioni generiche, non identifica
nessuno che abbia l’autorità di dirti: “La giustificazione
non mi convince”. Prima ad esempio c’era l’Antitrust, il cui
parere, se non ricordo male, non era vincolante, ma almeno
era qualcosa che rimaneva agli atti. Fatta così, questa
norma mi sembra davvero il sigillo sul sistema attuale, e
un pretesto per non parlare più del problema. Se mai ci sarà
un decreto sviluppo ‘tris’ non interverrà di certo sui
servizi pubblici locali, perché si dirà che sono già
normati. (Public Policy)