di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Sergio Mattarella si è già pronunciato, dichiarando la propria indisponibilità a un secondo mandato, soprattutto “a progetto” (due anni e poi spazio ad altri). Mario Draghi, invece, mantiene un cauto silenzio, anche se martedì, dopo l’incontro tra i sindacati e il presidente del Consiglio sulla riforma delle pensioni, il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri ha spiegato d’aver ricevuto qualche rassicurazione: tra la fine di marzo e di aprile ci saranno nuovi confronti tra Palazzo Chigi e le organizzazioni sindacali, e a condurli sarà sempre Draghi. Si tratta però pur sempre di un’informazione riferita, non di una dichiarazione diretta di Draghi.
Comunque, prima o poi, dovrà arrivare una risposta alla domanda: al Quirinale, sì o no? Più passa il tempo, più le sotterranee logiche di partito rischiano di produrre comunque una risposta al quesito. Anche perché in politica vale il principio dell’horror vacui; se c’è un vuoto, si riempie. Draghi è già una risposta al vuoto della politica, ma a sua volta il suo silenzio potrebbe rappresentare un altro vuoto. Provvisorio, si spera. In attesa dei pronunciamenti, rimangono forti speculazioni sul suo destino e di quello del Governo. Dunque, di tutti noi. Ci sono molte ragioni per le quali Draghi dovrebbe restare al suo posto a Palazzo Chigi – perché cambiare in corsa il conducente, quando c’è da fronteggiare ancora l’emergenza sanitaria e da completare il lungo percorso del Pnrr? – ma c’è anche chi obietta che un altro anno di Governo, con un nuovo presidente della Repubblica, l’attuale capo dell’Esecutivo non potrebbe sostenerlo. C’è da immaginare che le insofferenze dei partiti della maggioranza aumenteranno e il primo ad andarci di mezzo sarà proprio quello che li ha commissariati, diventando il supplente e lo stabilizzatore dei partiti politici. Sapere che cosa pensi Draghi è difficile, però possiamo osservare con maggiore attenzione, usandolo come cartina di tornasole, quello che fa l’Esecutivo.
L’impressione è che Draghi stia cercando di tenere largo il consenso politico in Parlamento, come dimostra anche la mancata revisione del Reddito di cittadinanza. Secondo le parole dello stesso presidente del Consiglio, il Rdc non dovrebbe essere un ostacolo “all’accettazione di proposte di lavoro”, come invece è adesso. Come notato dal Foglio, la bozza della legge di Bilancio approvata in Consiglio dei ministri prevedeva una riduzione della “tassa” sul reddito da lavoro per i percettori di Rdc del 20 per cento. L’incentivo però è scomparso nella versione definitiva, senza alcuna spiegazione. Segno che, insomma, è sempre meglio non doversi trovare a discutere con chi il Reddito di cittadinanza l’ha voluto: i 5 stelle. Eppure, chi meglio di Draghi – accompagnato da Francesco Giavazzi – per fare le riforme? Ma se le riforme non si possono fare perché altrimenti i partiti si adontano, a che servono l’esperienza e il distacco dell’ex presidente della Bce?
Dopo molti mesi di subalternità alla tecnocrazia, questo è dunque il momento dei partiti, che possono tornare a fare e disfare. Non possono magari essere incisivi sul resto, ma sulla partita del Quirinale sono essenziali, determinanti. Anche per questo, forse, c’è così tanta attenzione sui movimenti del centro, fra Italia viva e le componenti centriste del centrodestra disponibili a dare vita a nuovi contenitori che sopravvivano al sovranismo e al neopopulismo. Matteo Renzi poi è “attenzionato” anche per altre vicende. Il caso Open non inciderà sui consensi di Italia viva, già limitati, ma potrebbe creare qualche scossone parlamentare. Il centrosinistra potrebbe voler sfilare qualcuno dei 43 parlamentari italo-vivaisti per fiaccare il contributo renziano nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica, come già avvenuto durante il secondo Governo Conte, quando c’era bisogno di responsabili ciampolillizzati per un eventuale Conte ter. Ma se l’eventuale transumanza non avvenisse, il Pd avrebbe semplicemente regalato i voti di Renzi al centrodestra. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Camera dei deputati/Flickr)