di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Giorgia Meloni viaggia in splendida solitudine, nonostante le mille contraddizioni del suo Governo, la crisi fisiologica di Forza Italia dovuta alla malattia del fondatore, Silvio Berlusconi, e l’inerzia di Matteo Salvini, che si dedica ora al nuovo balocco: il ponte sullo Stretto di Messina. There is no alternative. Non c’è alternativa alla presidente del Consiglio, alla quale magari l’anno prossimo riuscirà persino l’impresa di costruire ciò che in Italia non è mai esistito: un autentico partito conservatore. D’altronde non ha avversari irresistibili nel destra-centro, ma nemmeno dall’altra parte, tra i demopopulisti. La malattia di Berlusconi può soltanto accelerare un processo di definitiva trasformazione della maggioranza, che potrebbe aver trovato un nuovo padrone della ditta, Meloni appunto. La quale sembra, per il momento, dribblare le maggiori difficoltà che l’essere al Governo comporta, a partire dalla coerenza richiesta fra ciò che si è detto prima del voto e dopo. Problema antico per tutti i rivoluzionari e i cripto-rivoluzionari, che piromani devono farsi pompieri una volta raggiunto il potere. Palazzo Chigi standardizza anche i più accesi coreografi e sceneggiatori della Rivoluzione. C’è tuttavia il grosso problema del Pnrr. La Commissione europea ha le sue legittime preoccupazioni sulla capacità dell’Italia di spendere correttamente e nei tempi previsti le risorse del Next Generation Eu.
In ogni caso, gli avversari irresistibili, si diceva, non ci sono a destra come a sinistra. Elly Schlein, neo-segretaria del Pd, è appena tornata dalle vacanze e si è subito dedicata alle amministrative, con un passaggio – sabato scorso – in Toscana a sostegno dei candidati del Pd, fra Siena e Pisa, due città peraltro governate dalla Lega di Salvini e risalenti all’epoca in cui il segretario leghista sembrava che potesse governare 20 o 30 anni. Per il resto, Schlein traccheggia su molto se non su tutto. Si vede che la trattativa sulla composizione della segreteria del Pd ha esaurito voce ed energie della giovane neo-leader dei democratici. Che però, prima o poi, su quel che accade al Governo dovrà pur dire qualcosa. E non solo su quello. La prima grana si è già palesata, ed è sul termovalorizzatore di Roma. Il sindaco Roberto Gualtieri sembra non voler arretrare sulla realizzazione dell’impianto. Ma avrà il suo partito contro. Annalisa Corrado, neo responsabile alla Conversione ecologica, è contraria all’impianto, così come Marco Furfaro, che ha la delega alle iniziative politiche. Il Pd ecologista di Elly Schlein, incalzata dal M5s a dire no, che posizione prenderà?
Ecco, per l’appunto, sul termovalorizzatore Giuseppe Conte riprende un po’ di colore. Ma non basta. L’ex presidente del Consiglio sembra non essersi ripreso dalla vittoria di Schlein, che senz’altro sposta il Pd su temi cari al M5s e sui quali il partito di Conte ha potuto prosperare per mesi senza concorrenza (vedi il salario minimo). E l’ex Terzo polo? È finita tra gli insulti dei due leader, Matteo Renzi e Carlo Calenda, che avrebbero dovuto dar vita a un partito unico, espressione dei lib-dem all’italiana. Solo che è finita malissimo, come peraltro ampiamente prevedibile (e previsto). Calenda e Renzi non hanno resistito insieme nemmeno un anno. Ma c’è modo e modo di discutere, persino modo e modo di far finire un accordo politico. Italia viva e Azione hanno scelto il peggiore, con una infinita discussione a colpi di post su Facebook, tweet e newsletter. Il risultato è che un elettore non fanatico difficilmente potrà trovare ancora credibile un progetto centrista, qualsiasi esso sia, se di mezzo ci sono l’ex presidente del Consiglio e l’ex ministro dello Sviluppo economico. Anche in questo campo, Meloni potrebbe offrire più garanzie.
Le amministrative in arrivo contribuiranno a rendere più evidente le difficoltà degli avversari della presidente del Consiglio, tra i quali trionfano le divisioni. Nel caso del Terzo Polo, peraltro, non sono nate nemmeno tutte ora, come testimoniano le scelte delle ultime settimane sulle candidature per le amministrative. Prendiamo il caso della Toscana, Regione strategica per Renzi (è lì che è nato il renzismo) ma anche per Meloni, che punta a fare di Fratelli d’Italia il primo partito anche lì, cinque anni dopo la stagione dorata del leghismo che pareva essere senza avversari. A Siena il Terzo polo si è spaccato. Azione candida Roberto Bozzi, già sindaco di Castelnuovo Berardenga, assai critico sull’amministrazione uscente. Tutt’altra storia invece quella di Italia viva. I renziani, capeggiati dal leader tosco-senese Stefano Scaramelli, appoggiano insieme al sindaco uscente della giunta di centrodestra, Luigi De Mossi, lo stesso candidato: il manager Massimo Castagnini.
A Pisa, dopo molte difficoltà e duelli su quale fosse la candidatura migliore, il Terzo polo candida Rita Mariotti, settantaduenne cardiologa iscritta ad Azione (già consigliera comunale fino al 2018), che è riuscita a superare nella scelta Carlo Lazzeroni di Italia viva. A Massa una nuova spaccatura: Italia viva – o quantomeno una sua parte – appoggia Enzo Ricci, candidato del Pd, mentre Azione è con Francesco Persiani, sindaco uscente, appena sfiduciato (grazie anche a Fratelli d’Italia), eletto nel 2018 con il centrodestra (erano i tempi in cui furoreggiava il salvinismo). Insomma il Terzo polo, mai stato polo e mai stato terzo, non esiste nemmeno alle amministrative. Meloni può stare serena, per davvero.
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)