di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il prossimo 24 febbraio, in South Carolina, Donald Trump e Nikki Haley – quest’ultima superstite tra gli sfidanti dell’ex presidente – si sfideranno di nuovo nelle primarie del Partito Repubblicano per la scelta del candidato per le elezioni di novembre. Haley gioca in casa; è nata a Bemberg, dove ha studiato, ed è stata la 116esima governatrice dello Stato fra il 2011 e il 2017. Perdere qui significherebbe davvero la fine della corsa alle primarie e l’avvio di una nuova campagna elettorale per Trump contro Joe Biden. Uno scontro il cui esito è destinato ad avere forti conseguenze anche nel resto del mondo.
Una di queste l’ha segnalata il politologo Yascha Mounk in un’intervista a Huffington Post: “L’Italia, come la Germania, dal 1945 s’è presa delle vacanze dalla storia. Ha dato mandato agli Stati Uniti di difenderla e poi, di tanto in tanto, fa grandi discorsi morali su quanto è terribile che l’America sia una società tanto militarista e aggressiva. Così facendo, si è sorvolato sul fatto che gli europei potevano essere pacifisti perché c’era un Grande Fratello a Washington che li proteggeva. Ora gli europei devono capire cosa vogliono: essere molto deboli sul piano internazionale, lasciandosi dominare da potenze come Cina o Russia, oppure diventare in grado di difendersi e acquistare influenza nel sistema internazionale, anche senza l’aiuto degli Stati Uniti, anche con un Trump fisso alla Casa Bianca. È un dibattito che sarebbe dovuto iniziare, al più tardi, nel 2016. E non è ancora cominciato”.
In Italia c’è tuttavia chi è molto contento per la possibile nuova vittoria di Trump. Come Matteo Salvini. Il leader della Lega da giorni ha recuperato la modalità “supporter del trumpismo”, non limitandosi alle congratulazioni; si è persino scagliato contro la recente condanna di Trump. Un tribunale federale degli Stati Uniti ha appena deciso che il miliardario dovrà pagare 83,3 milioni di dollari alla giornalista E. Jean Carroll, che lo aveva accusato di aver danneggiato la sua reputazione smentendo di averla aggredita sessualmente: “Anche oltreoceano magistratura che fa politica e sentenze ad orologeria. Ma anche negli Usa, come in Italia e in Europa, tutto questo non basterà a fermare il vento del cambiamento e la voglia di libertà dei cittadini. Avanti!”, ha scritto Salvini su X.
La sintonia del segretario della Lega con Trump va avanti dai tempi della sfida con Hillary Clinton. Nel 2016 disse di scegliere “Trump tutta la vita”, spiegando che “il suo rigore, la sua strategia di rilancio economico, la politica di sicurezza mi fanno dire Trump”. Sempre nel 2016 Salvini spiegava che “centrodestra e centrosinistra sono categorie vecchie in tutta Europa e lo stesso Trump negli Stati Uniti indica che si va verso nuove forme di partecipazione, quindi io guardo avanti”. E ora guarda di nuovo avanti, il segretario della Lega. Anche in chiave strumentale, nel duello con Giorgia Meloni per le elezioni europee. Il gruppo di Identità e Democrazia, di cui fanno parte i partiti europei di estrema destra, punta ad arrivare terzo. I sovranisti badano al proprio particulare, per dirla con Guicciardini, ma in comune hanno l’avversità verso le piattaforme progressiste.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha un buon rapporto con Joe Biden, l’attuale presidente statunitense, e avere un isolazionista alla Casa Bianca come Trump non sarebbe una buona notizia per la leader di Fratelli d’Italia, che sull’atlantismo ha costruito la sua politica estera da quando è a Palazzo Chigi.
Salvini, dunque, si ritrova in sintonia con Giuseppe Conte, come dimostra anche la mozione “pacifista” della Lega sul sostegno militare all’Ucraina, presentata e poi ritirata la settimana scorsa, nella quale si lasciava intendere che il Paese guidato da Volodymyr Zelensky non ha alcuna possibilità di vincere contro la Russia. E l’asse Salvini-Conte sembra rinverdirsi proprio grazie a Trump. Bastava ascoltare, Conte, a “Che Tempo Che fa”. “Trump o Biden? Hanno due approcci ideologici completamente diversi, uno ovviamente potrebbe essere più vicino alla sfera progressista e l’altro no. Però per esempio sulla guerra potrebbero invertirsi le cose, quindi non ha senso che mi metta a fare il tifo per l’uno o per l’altro”, ha detto Conte facendo sfoggio anche di una ottima dose di garantismo: “Io faccio l’interesse dell’Italia, quindi con Trump ho cercato di coltivare un rapporto per tutelare l’interesse nazionale. Sull’assalto a Capitol Hill ho preso le distanze, quella chiaramente è una pagina nera della democrazia americana, lasciamo che i giudici facciano i loro accertamenti”.
Le elezioni Usa insomma hanno ripercussioni su tutti gli schieramenti. Anche sul Pd, la cui segretaria, figlia di un politologo statunitense, Melvin, stata volontaria nelle campagne elettorali di Barack Obama. Ma erano davvero altri tempi. Anche per i Repubblicani, che nel 2008 candidarono John McCain e nel 2012 Mitt Romney. Il primo è scomparso, il secondo ha da poco annunciato il suo ritiro dalla scena politica. Due solidi esponenti conservatori, esponenti di una stagione del Gop, il Grand Old Party, che non c’è più. Un partito oggi saldamente trumpizzato. (Public Policy)
@davidallegranti