di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Firenze, 4 marzo, ore due di pomeriggio. In piazza i sindacati riuniscono il popolo delle sinistre. Elly Schlein, fresca vincitrice delle primarie del Pd aperte a tutti (hanno votato anche elettori del M5s, persino qualche personaggio eccellente, come il direttore della scuola di formazione grillina, il sociologo Domenico De Masi), Giuseppe Conte, Roberto Speranza. E ancora, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Naturalmente Maurizio Landini, leader della Cgil, tra i padroni di casa. L’occasione è una manifestazione per l’antifascismo, dopo i fatti del liceo Michelangiolo. Ma dentro c’è di tutto. La difesa della sanità pubblica, gli striscioni per Alfredo Cospito, l’anarchico al 41-bis. Bandiere della Cgil, del Pd, di Rifondazione comunista, di Italia viva (non di Azione, Carlo Calenda non ha dato via libera: “Abbiamo condannato il mutismo del Governo sui fatti di Firenze e sostenuto la preside e condannato le parole di Valditara. Ma non saremo in piazza. Sappiamo chi ha torto e chi ragione, ma non vogliamo rischiare di acuire la tensione con slogan che amplificano la violenza”).
Volano slogan e canti antichi per le vie strette del centro di Firenze. “Bella ciao”, richieste varie di dimissioni per Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione. Magliette in regalo per Schlein e Conte: “In difesa della scuola e della Costituzione”. Si parte da piazza Santissima Annunziata per arrivare in piazza Santa Croce. Il Pd schiera i pesi massimi. Oltre alla Schlein ci sono Nicola Zingaretti, Peppe Provenzano, Alessandro Zan, il neo segretario del Pd toscano Emiliano Fossi, che a tutte le federazioni provinciali aveva detto di esserci, anche a costo di prendersi qualche bercio dagli antagonisti.
La sinistra riformista è cauta di fronte alla passeggiata e all’abbraccio Schlein-Conte. Persino a disagio. “Se ci troviamo qui con la segretaria del Pd – ha detto Conte – vuol dire che su partite concrete noi ci siamo. Se col nuovo vertice del Pd questo dialogo rafforzerà questo orizzonte ben venga per tutta l’Italia”. Ma ora ci sarà rivalità tra due partiti di sinistra? “Il problema non è il primato e le leadership della sinistra”, dice Conte, che continua a collocarsi in una non meglio precisata “area progressista”. “Sono molto felice che ci sia qui una grande delegazione del Partito democratico, che ci sia qui il Movimento 5 stelle, che ci siano qui altre forze civiche e della sinistra ecologista, credo che sia un bel segnale che su alcune battaglie fondamentali, come abbiamo sempre detto, noi dobbiamo lavorare insieme sia in Parlamento che nel Paese, per organizzare una opposizione. Noi ci saremo”, ha detto Schlein, cercando unire il fronte delle opposizioni. I temi, a lungo discussi con Conte dietro il palco di Santa Croce, sono “la difesa della scuola pubblica, la difesa della sanità pubblica, la difesa del lavoro, il salario minimo, la difesa della Costituzione, la battaglia contro l’autonomia differenziata”.
Di fronte alle ipotesi di alleanza, i riformisti del Pd mostrano cautela e preferiscono restare in silenzio, come già fatto nei giorni successivi alle primarie. Certo, qualcuno se n’è già andato, come Beppe Fioroni. Qualcun altro minaccia di andarsene, come Giorgio Gori, sopratutto se cambierà linea sulla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia. “Abbiamo già votato in Parlamento. Confermiamo gli aiuti all’Ucraina”, ha tuttavia detto la nuova segretaria a Che tempo che fa. “È necessario sostenere il popolo ucraino, non è in discussione. Ma non ci può essere sinistra senza l’ambizione di costruire un futuro di pace, non possiamo perdere questa idea. I problemi non si risolvono solo con le armi. Ci vogliono iniziative diplomatiche e un’azione dell’Unione europea. Bisogna fare ancora maggiori pressioni per trovare un terreno di confronto che consenta di fermare la guerra”.
E quindi? “Vedremo le sue intenzioni. Vedremo se è solo maquillage giovanilistico…”, dice un importante dirigente del Pd. Alcuni di loro vorrebbero già andarsene, altri sono trattenuti da Stefano Bonaccini, che potrebbe fare il presidente del Pd (un ruolo che almeno fin qui è contato il giusto). Fino al 12 marzo, giorno dell’assemblea del Pd in cui Schlein passerà da segretaria eletta a segretaria e basta, niente si muoverà. Ma dopo? Dopo è tutto da vedere. Anche perché, come dice la ricerca firmata “Candidate & leader selection” sulle primarie del Pd 2023, il partito è spaccato a metà. I due gruppi che hanno scelto Schlein e Bonaccini “rappresentano due mondi ideologicamente diversi, decisamente spostato a sinistra quello di Schlein, più vicino al centro quello di Bonaccini. Questo poi si riflette anche sulla strategia delle alleanze nel centrosinistra: la maggioranza dei sostenitori della neo-segretaria, a differenza di quanto avviene per Bonaccini, ritiene utile allargare la coalizione al M5s. E sono proprio queste differenze a rappresentare la prima sfida per la segretaria del Pd: riuscirà a tenere insieme due gruppi che si dividono su questioni così fondamentali?”.
La domanda è centrata, anche perché le differenze sono nette rispetto alla stagione politica precedente, come emerge anche dallo studio, che analizza anche la collocazione politica dei votanti alle primarie. “La metà del selettorato delle primarie che ha incoronato Schlein si dichiara nettamente a sinistra (56%). Ma se spostiamo l’attenzione sull’intero campione di intervistati osserviamo che, alla richiesta di autocollocarsi rispetto all’asse destra- sinistra, il 48% ha scelto quest’ultima categoria. Rispetto alle primarie del 2019, quando Zingaretti fu scelto come segretario, la porzione di chi si è collocato a sinistra è molto maggiore (quasi sette punti percentuali in più). Questo dato segnala due evidenze. La prima, di natura più strutturale, è il proseguimento di uno spostamento a sinistra che già si era evidenziato nelle precedenti primarie: tra il 2017 (che riconfermarono Renzi alla segreteria) e il 2023, i selettori che si sono collocati a sinistra sono cresciuti di circa 14 punti percentuali. Parallelamente si è ridotta la componente di selettori sia di centrosinistra (di quasi dieci punti percentuali) sia di centro (oltre cinque punti)”.
La seconda evidenza “ha invece natura più contingente ed è legata ai candidati segretari e alla situazione politica del paese. Sia il profilo della vincitrice, chiaramente più radicale rispetto a Bonaccini, sia i risultati delle ultime elezioni politiche, che hanno decretato l’ascesa al governo di un Esecutivo di destra ma anche un relativo successo del M5s, possono avere ulteriormente spostato a sinistra un selettorato che era già avviato in questa direzione. La distanza in questo senso tra i due candidati è stata importante: a fronte di una media del 48%, i selettori di Schlein sono per il 56% autocollocati a sinistra, sono il 39% invece quelli di Bonaccini; mentre si registra il trend inverso con i selettori di centro (rispettivamente sotto il 6% e oltre il 17%). L’autocollocazione politica dei partecipanti a queste primarie 2023 sembra quindi (continuare a) chiedere al Pd un posizionamento più netto nel vuoto che lo stesso partito ha lasciato a sinistra”. La domanda resta insomma molto attuale: che faranno i riformisti sconfitti alle primarie? (Public Policy)
@davidallegranti