di Francesco Ciaraffo
ROMA (Public Policy) – Difende il reddito di cittadinanza (che comunque è da migliorare) e crede che il Jobs act non sia un totem. Rivendica l’idea di tassare le grandi successioni per dare più occasioni ai giovani. E non crede che il centrodestra, se arriverà al Governo, farà una buona legge sul salario minimo. Chiara Gribaudo (nella foto), responsabile missione Giovani della segreteria Pd e candidata alla Camera nel collegio Alessandra, Asti, Cuneo, parla con Public Policy delle proposte Pd sul lavoro.
D. In questa campagna elettorale il Pd si è trovato ad attaccare il Jobs act che ha proposto e votato e difeso il Reddito di cittadinanza, provvedimento sul quale si è schierato contro. Ci spiega?
R. Il Jobs act è nato in una stagione politica diversa. Era una riforma ampia e complessa, fatta di otto decreti legislativi. C’erano nuovi ammortizzatori sociali, politiche attive, norme contro le finte partite Iva (la legge 81/2017 cioè il Jobs act del lavoro autonomo è un’ottima norma) e le dimissioni in bianco. Ma non parliamo di un totem e soprattutto, le parti più discutibili e sulle quali chi di noi era in commissione Lavoro la scorsa legislatura aveva già evidenziato al Governo la necessità di cambiarlo, sono state sostanzialmente smantellate dalla Corte costituzionale.
Non è la causa dei mali di questo Paese, altrimenti perché i Goverrni Conte I e II non l’hanno cambiato? L’ errore politico è stato scaricare tutto su quel simbolo per far contenti la Merkel e Marchionne, non solo perché abbiamo rotto con una parte del sindacato e fatto sentire una parte del mondo del lavoro più sola, ma perché quella polemica puramente simbolica non cambiava niente (l’articolo 18 l’aveva cambiato Monti, il Jobs act ha fatto ritocchi) e ha finito per distogliere attenzione e risorse finanziare dalle parti buone della riforma che c’erano ma abbiamo lasciato in sospeso. Certo, poi con la pandemia è cambiato il mondo e con i rincari delle materie prime e delle bollette ancor di più. Quindi servono sempre aggiornamenti alle norme. Smettiamola di litigare in astratto. Il Reddito di cittadinanza, invece, è un Rei, ovvero il Reddito di inclusione voluto dal Pd, fatto peggio perché ha dato sostegno a chi è povero (e meno male) ma non ha dato gambe al principio di cittadinanza che passa dalla formazione e dal lavoro. C’è da riconoscere che sul Reddito di cittadinanza c’è stato il coraggio di metterci più risorse, a differenza del Rei. Il Rdc oggi va difeso perché non sono accettabili gli attacchi strumentali che gli vengono fatti. Non è colpa del Rdc se non si trovano lavoratori, ma perché molte imprese mal redistribuiscono la ricchezza che creano e pensano di essere competitive pagando poco. Le imprese che investono e che aumentano la produttività non soffrono per il Rdc. Chiaro è che va ripensato totalmente sul lato dei servizi sociali e delle politiche attive.
D. Tra le proposte qualificanti del vostro programma c’è la dote per i giovani da finanziare aumentando la tassazione sulle successioni per le grandi eredità. Ma non ha riscosso grande successo. Come mai?
R. La proposta è di tassare le eredità sopra i 5 milioni. In Italia i soldi guadagnati sono tassati troppo, quelli ricevuti da grosse eredità poco o nulla. L’aliquota di tassazione per eredità o donazioni superiori a 5 milioni di euro tra genitori e figli è tra le più basse d’Europa. In Italia è al 4%, in Germania al 30%, in Spagna al 34%, in Gran Bretagna al 40% e in Francia al 45%.
Chi dice che mettiamo le mani in tasca agli italiani deve specificare che è per gli italiani con patrimoni oltre i 5 milioni. E allora sì, rivendichiamo che in questo Paese la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi e in questa fase (contraddistinta dalla crisi energetica che pesa sulle bollette, da una forte inflazione, dai problemi dovuti alla guerra in Ucraina che seguono la fortissima crisi Covid) la proposta di tassare sopra i 5 milioni la rivendichiamo a testa alta. L’ultima analisi della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie di luglio 2022 dice che il divario generazionale della ricchezza è intollerabile. La dote ai giovani è il modo migliore per iniziare questa redistribuzione. Inoltre, è anche una proposta simbolica per far tornare a discutere sulla questione generazionale in un Paese in cui i giovani meritano opportunità, il diritto a costruirsi un futuro, a uscire di casa prima dei 30 anni e a costruirsi una famiglia. Se poi tra quell’1% (anche meno) di italiani con patrimonio sopra i 5 milioni ce ne sono alcuni che non credono che in questa fase sia giusta una chiamata alla solidarietà con una tassazione in linea con quella di Francia Germania e tutti i Paesi europei, allora occorrerà interrogarci seriamente su che Paese siamo.
D. Lei è stata promotrice di una legge sulla rappresentatività delle organizzazioni sindacali che non è andata in porto. Secondo lei è un percorso che nella prossima legislatura si potrà riprendere?
R. Me lo auguro perché credo nell’importanza di dare maggior coesione sociale al Paese in questo momento ed è anche per questo che serve una rappresentanza più forte e legittimata. La legge sulla rappresentanza è necessaria nel nostro Paese anche per l’idea di introdurre un salario minimo. Oggi esistono sindacati che sono presenti esclusivamente in poche aziende e sono funzionali solo a firmare contratti al ribasso. Con una legge sulla rappresentanza si eliminerebbero sigle che non sono sindacati veri ma di comodo; al contempo credo vadano incentivati ulteriormente i workers buyout e la partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali sul modello tedesco.
D. Sul salario minimo proponete il modello tedesco, cioè estendere il contratto più rappresentativo di un settore a tutti i lavoratori di quello stesso comparto. Crede sia un obiettivo raggiungibile anche con un governo di centrodestra?
R. Uno schieramento che sostiene che i lavoratori stanno a casa perché tanto prendono il Rdc non appare il miglior partner per proseguire l’iter di questa necessaria riforma. Per noi il salario minimo, per lavoratrici e lavoratori, è superiore al Reddito di cittadinanza, e dovrebbe essere una ovvietà. Chiedete al centrodestra quale idea hanno, se la hanno, di un salario minimo.
D. Un’altra volta proposta è lo stop agli stage gratuiti favorendo l’accesso al lavoro solo tramite apprendistato. Non rischia di essere un paletto troppo forte?
R. Parliamo degli stage extracurricolari. Se è o meno un paletto troppo forte più che a me andrebbe chiesto ai ragazzi che accumulano stage dopo stage senza diritti e spesso neanche salario. Ho sentito storie di commesse pagate in prodotti del negozio, giovani (spesso non più) laureati che cercano lavoro e invece non trovano altre offerte che stage. Chi lavora deve avere un contratto, con salario e diritti. L’apprendistato è un contratto di lavoro e formazione, utile al lavoratore e all’imprenditore. Nessuna impresa sana chiuderà solo perché non può più fare lavorare gratis i nostri giovani.
È un discorso di rispetto e le nostre e i nostri giovani meritano rispetto. Più che chiedere al Pd perché vuole abolire stage andrebbe chiesto ad altri di spiegare (ai giovani, soprattutto) perché vogliono mantenerli senza degni compensi e con una durata che solo in Italia è così estesa. In Francia i tirocini extracurricolari nemmeno esistono; in Germania, se vanno oltre il terzo mese, seguono la normativa del salario minimo. In Italia sono un lungo limbo di insensata precarietà. (Public Policy)
@fraciaraffo