di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Le elezioni europee si avvicinano, 8 e 9 giugno, e negli ultimi giorni di campagna elettorale, i toni sono inevitabilmente saliti. Soprattutto da parte della destra.
Lo testimonia anche l’attacco leghista al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, reo di aver detto che con le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento sarà celebrata la “sovranità” dell’Unione europea. “È il 2 giugno, è la Festa della Repubblica Italiana. Oggi si consacra la Sovranità della nostra Nazione. Se il Presidente pensa davvero che la Sovranità sia dell’Unione Europea invece dell’Italia, per coerenza dovrebbe dimettersi, perché la sua funzione non avrebbe più senso”, ha detto il senatore della Lega Claudio Borghi, un tempo noto No Euro insieme al collega Alberto Bagnai, teorico del tramonto della moneta unica.
“Oggi si festeggia la Repubblica, non l’Unione europea delle multinazionali che vorrebbero mettere fuori norma tutto il Made in Italy. Non mi arrenderò mai a un super Stato europeo in cui comandano quelli che hanno i soldi, non è questa l’Europa”, ha aggiunto il leader della Lega Matteo Salvini su RaiTre. “Oggi è la festa degli italiani e della Repubblica, non della sovranità europea. Noi abbiamo un presidente della Repubblica perché esiste una Repubblica, una sovranità nazionale italiana. Penso all’Europa come un insieme di Stati sovrani, autonomi e liberi che mettono in comune alcune energie, alcune forze, però la sovranità nazionale è assolutamente fondamentale”. Sono dunque tornati – ma forse non se ne erano mai andati via – i No Euro; quelli che dopo aver deluso i loro elettori che li avevano votati nel 2018 e nel 2019 sperando nell’Italexit e nel tramonto dell’euro, adesso cercano di intercettare qualche voto antieuropeista.
Sembra aver ragione dunque Giorgia Meloni quando dice che le elezioni del prossimo fine settimana sono un referendum fra due visioni dell’Europa. La presidente del Consiglio ha invitato a scegliere tra un’Europa “ideologica, centralista, nichilista, sempre più tecnocratica” e “un’Europa, coraggiosa, fiera, che non dimentica le sue radici”. Per Meloni è dunque l’ora di dire stop al “super Stato”, perché serve invece un’Europa che “fa meno e meglio”. Resta da capire se i conservatori e i nazional-populisti possano stare dalla stessa parte.
In teoria con certe premesse l’idea di ricostituire anche in Europa la maggioranza del destra-centro italiano sembrerebbe a portata di mano. Anche Salvini infatti rivendica di essere contro il super Stato. Poi però le differenze iniziano a presentarsi con una certa consistenza.
Su Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea uscente e in corsa per la rielezione, sostenuta dal Ppe, dunque da Forza Italia di Antonio Tajani, ci sono divergenze fra la leader di Fratelli d’Italia e il capo della Lega. E anche sulla politica estera, centrale nel dibattito pubblico di queste elezioni, non mancano le differenze. Basti pensare alla posizione saldamente atlantista di Meloni sul conflitto in Ucraina scatenato dalla Russia e il ritrovato pacifismo di Salvini che invita a rivedere gli aiuti militari a Kiev: “Noi non siamo in guerra contro la Russia e quindi assolutamente ritengo pericolosi quei leader europei ed occidentali che incitano alla prosecuzione della guerra”, ha detto Salvini: “Dirò di più: noi abbiamo sempre approvato l’invio di aiuti umanitari, militari, per difendersi, ma se dovessero andare avanti queste smanie di guerra, questi piccoli bombaroli alla Macron, noi dovremmo stare molto attenti come Italia a mandare altre armi all’Ucraina. Chi mi si assicura che poi una bomba italiana, un proiettile italiano non vadano a colpire il territorio russo e poi si scateni la terza guerra mondiale?”.
Agitare gli spauracchi sembra essere conveniente. D’altronde tutto serve in campagna elettorale. Anche per raccogliere i numeri al Parlamento europeo con i quali provare a far cambiare il volto alla prossima Commissione. Il sogno dei conservatori e dei neopopulisti è quello di poter fare a meno di un “inciucio” con i Socialisti. I numeri dei sondaggi però dicono che la destra da sola non potrebbe essere autosufficiente e che un qualche tipo di accordo servirà. Anche nel 2019 servirono dei rattoppi per von der Leyen, eletta con il voto determinante di 14 eurodeputati del Movimento 5 stelle. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)