ROMA (Public Policy) – di Massimo Pittarello – “Scusi, che hanno fatto alle Regionali? Perché vede, in tanti sostengono di aver vinto ma, alla fine, io mica ho capito cosa è cambiato”. Vede, “mio caro”, ogni interpretazione nazionale del voto locale fallisce miseramente per la semplice ragione che non si mischiano le mele con le pere.
Anche se confrontati con le precedenti regionali, i risultati afferiscono alle dinamiche del territorio, all’offerta politica locale, ai governatori, perfino alle liste civiche. Nelle varie regioni non hanno vinto o perso solo i partiti, ma principalmente i candidati. Tanto che li chiamiamo governatori. L’unico trend chiaro a livello nazionale è la crescita dell’astensione, con l’affluenza passata in 10 anni dal 70 al 52% (-18%), segno del distacco esistente tra italiani e Regioni (nei 679 comuni dove si è votato si è raggiunto il 64%).
Eppure in Parlamento è già iniziata la bagarre, come se il voto avesse cambiato gli assetti del Paese. Illuminati (anzi, abbagliati) dalle urne gruppi e correnti rivendicano tutti “un nuovo ruolo”, “un cambio di passo”, “un’inversione di rotta”, qualunque cosa ciò significhi. Nonostante il successo della Lega, il centrodestra resta un cantiere aperto in cui si mixano il lento ma inesorabile declino del redivivo Berlusconi con Dudù, la leadership felpistica di Salvini, l’affermazione di Fitto nella sua Signoria delle Puglie.
Ma potrebbe sempre andare peggio. Il centro di Alfano, spaventato da 3 soli eletti in 7 regioni, è una pallina impazzita in cui ognuno va dove gli pare, tentando di restare a galla. De Girolamo è tornata dal Cavaliere (“Ncd è fallito”, ipse dixit). Schifani e Lupi fanno colazione al Nazareno, poi vanno a pranzo con Fitto, ma dormire ancora non si sa. Mario Mauro, che era alleato con Pd in Puglia, con Forza Italia in Campania e con Tosi in Veneto (poi criticano la poligamia….) dopo essere passato in 3 anni da Berlusconi a Monti, da Monti a Letta, da Letta a Renzi, adesso vorrebbe ripartire dal “via” di Arcore.
Alfano, però, spera di rimanere al Viminale (e nessuno che gli dica che, forse, per come vanno le cose, magari non gli conviene poi tanto), consapevole che difficilmente tornerà ad avere un ruolo così importante. Nell’area di governo, poi, la partita si complica per la sconfitta delle due candidate renziane (Paita e Moretti), la vittoria di candidati certamente non renziani e il suicidio assistito della sinistra Pd in Liguria. Continuando a ritenere la sconfitta perenne il miglior Sol dell’Avvenire, la minoranza dem affila i coltelli verso Renzi, con qualcuno che sogna addirittura un cambio a Palazzo Chigi (insieme alle resurrezione del Che, probabilmente).
La battaglia finale si giocherà probabilmente sulla riforma costituzionale, senza la quale per Renzi l’Italicum è un’arma spuntata. Ma intanto in Commissione cultura al Senato già manca la maggioranza per approvare la riforma della scuola. Insomma si preannuncia Vietnam parlamentare.
Eppure, se traslare il voto regionale a livello nazionale è sbagliato concettualmente, figuriamoci quale errore sia costruirci sopra settimane e mesi di battaglie a suon di emendamenti e cavilli. Anche perché gli italiani hanno già archiviato il tema regionali (in cui è andato a votare 1 su 2) e, aprendo il secondo capitolo di Mafia Capitale, hanno posato occhi e indignazione sull’ennesimo scandalo della politica. Non saranno certo la riforma della Rai o l’elettività del Senato a cambiare le carte in tavole, nè la guerriglia in aula o in commissione. Il consenso, in fondo, si conquista principalmente sul terreno dell’economia.
Ora, l’attuale mix di fattori economici (per la prima volta dal 2011 siamo usciti dalla recessione, arriva qualche dato positivo sulla disoccupazione, il QE, petrolio, tassi e materie prime a basso costo) e politici (il centrodestra post berlusconiano ancora allo stadio embrionale, i grillini sempre versione “zeru tituli” che perseverano nella strategia di eterni secondi) potrebbero indurre Renzi a spingere verso nuove elezioni (nazionali…).
Anche con il Consultellum? Un proporzionale puro che lo obbligherebbe a un nuovo governo di coalizione e gli permetterebbe solo di fare fuori un po’ di centristi ambigui e post-comunisti riottosi? Forse. Tanto che ci perderebbe? La sola minaccia delle urne (e la conseguente perdita del seggio), intanto, affievolisce tutte le rivendicazioni correntizie espresse a livello nazionale dopo il voto regionale, con tutte le verità “assolute” che tornano alla loro realtà: quella locale. Insomma, quale che sia il futuro, il voto delle regionali ha spostato davvero poco l’equilibrio delle forze in campo. (Public Policy)
@gingerrosh