Twist d’Aula – Denso traffico al centro. Si aggiunge pure Di Maio

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – C’è sempre più traffico al centro, tanto che si rischia l’ingorgo. Anche perché strade e destinazioni sono poco e male indicate e ogni giorno si aggiunge qualcuno. Tipo Luigi Di Maio, il cui passo di lato (da sinistra a destra) era questione di tempo, ma anche di posizione. Era infatti atteso da agosto, quando – smentendo Giggino – Grillo ha sfruttato il suicidio politico di Salvini per passare dai gialloverdi ai rossogialli. Il contrario di quello che voleva Casaleggio, che invece amoreggiava con la Lega e le imprese del Nord. E poi tra Giggino e Salvini c’era intesa e feeling personale. Oltre che una naturale distanza dal Pd, a differenza dell’Elevato e di molti altri ortotteri a cominciare da Stefano Patuanelli, pronto a salire al comando del M5s con la prospettiva strategica di un costruire un’asse con i dem. E quanto poco aneli a un abbraccio riformista, Di Maio lo ha dimostrato con il timing, dimettendosi a poche ore dal decisivo voto emiliano.

Insomma, il M5s si avvia a una spaccatura: qualcuno andrà a sinistra organicamente con il Pd, qualcuno verso destra, un po’ più verso il centro. Solo che l’area è già molto affollata, seppur in un pulviscolo di movimenti, idee, comitati e iniziative. Non c’è solo un Paragone “pontiere”, ma una lunga lista in cui si rischia di dimenticare qualcuno: c’è “Azione” di Calenda, “Italia viva” di Renzi, “Più Europa” della Bonino. C’è Stefano Parisi, c’è il movimento (per adesso solo parlamentare) di Fioramonti. Ma ci sono anche molti che vengono dall’altra parte, in un singolare sistema di convergenze parallele. L’arrembante Giovanni Toti, l’attendista Mara Carfagna, l’esperto Paolo Romani. Senza dimenticare Flavio Tosi, fuoriuscito tempo fa dalla Lega sovranista. E Filippo Rossi, che sta provando a piazzare tutte queste componenti “dalla parte di Jekyll”, come dice il suo ultimo libro, per disegnare un contorno ideale a quella che lui chiama “la buona destra”, in opposizione a quella sovran-populista. Vedremo, intanto continuano gli incontri, le telefonate, i contatti e le recensioni del libro (private).

Al centro il traffico è denso e l’ingorgo forse inestricabile. C’è però tuttavia da dire che una formazione come quella di Monti nel 2013 andò ben oltre il 10%. E questo nonostante la dolorosa riforma Fornero, una politica fiscale al limite del satanismo e molti altri errori, sia tattici che strategici. E che nel 2018 i 5 stelle hanno pescato assai in quel bacino. Senza dimenticare che una parte dell’elettorato di Forza Italia è oggi orfano del ruggente Berlusconi, ma tuttavia resta riluttante a salire sul carro dei sovranisti. Perché ha paura dell’Italexit, dell’isolamento internazionale, delle conseguenze sull’economia. E che buona fetta della Lega – lato Giorgetti – non ha le stesse attitudini “citofoniste” di Salvini.

D’altra parte, c’è una buona dose di stanchezza verso le ricette tradizionali, mentre talvolta capita di respirare un’originale aria pragmatica, uno strano connubio di chi vorrebbe un Paese più moderno, ma sempre europeista; meno clientelare e più meritocratico. Insomma, più politica, ma in modo diverso (Sardine oggi, ma andando inidetro: Madamine, Sì tav, Popolo Viola, Girotondi, etc etc). Può essere che sia solo un’estemporanea brezza invernale, ma è anche vero che se viene introdotto il proporzionale con lo sbarramento al 5% il baricentro del sistema potrebbe farsi sempre più piccolo. E centrato. (Public Policy)

@m_pitta