di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Siamo agli sgoccioli e ogni volta si ripete la stessa cosa e cioè che la campagna elettorale che stiamo vivendo sia la peggiore di sempre. Difficile dire se sia una suggestione, ma questa prima volta “autunnale” presenta rilevanti novità. Di forma e sostanza. Quelle di forma. Se nel 2013 e nel 2018 ancora sopravviveva il termine “bipolarismo”, poiché i 5 stelle erano considerati come anomalia, adesso i poli sono quattro, definiti. E, salvo un riavvicinamento tra la corrente thailandese del Pd e l’avvocato del popolo, le distanze potrebbero rimanere tali per un po’. Anche le definizioni di centrodestra e centrosinistra sono vetuste. A sinistra la coalizione non si è formata. A destra non c’è il centro e, soprattutto, più che un’alleanza-coalizione sembra un’unione di necessità, con crepe che minacciano di diventare spaccature dal 26 settembre in poi.
Inoltre, votiamo per un Parlamento ridotto di un terzo, inedito e originale, ma con un vestito fuori moda. Il Rosatellum è stato infatti costruito su uno schema che non esiste più né politicamente né territorialmente. Ibrido, assegna tre ottavi degli scranni in dei collegi uninominali che, dopo il taglio dei parlamentari, sono nuovi nella loro conformazione e troppo estesi perché possano conservare il senso originario, quello di “avvicinare l’eletto al cittadino”. Soprattutto, con questa legge elettorale non contano tanto le percentuali complessive raggiunte dei partiti, ma l’effettiva distribuzione di voti nei singoli collegi. Per cui non si possono escludere soprese (tanto più che i 5 stelle sembrano avere consenso nel Meridione) e la formazione di una maggioranza al Senato potrebbe non essere automatica.
Potrebbe non essere dunque un caso – e arriviamo alle novità di sostanza – che il numero due del partito favorito, Guido Crosetto, suggerisca che dopo il voto si possano unire tutte le forze migliori per salvare il Paese (“e tutte vuol dire tutte”, sottolinea Crosetto). Qualche maligno sostiene sia un modo per accreditare l’unico partito di opposizione come forza di governo responsabile. Qualcun altro dice che, di fronte alla recessione a cui potremmo andare incontro, Meloni non voglia accollarsi in solitudine tutte le scelte difficili che ci saranno da fare. E c’è anche chi dice che, a conti fatti, il risultato non è scontato. Anzi, dalle parti di Fratelli d’Italia temono un flop di Lega e Forza Italia.
Soprattutto, il centrodestra potrebbe faticare a trovare gli equilibri per governare. I distinguo, le punzecchiature, le rincorse e gli abboccamenti sono il pane quotidiano del rapporto tra Meloni, Salvini e Berlusconi. A partire dai temi più delicati: economici e di politica estera. Solo nelle ultime ore, dopo il voto contrario di Lega e FdI al Parlamento europeo sull’Ungheria, è arrivato lo smarcamento del leader di Arcore (“la nostra Europa non è quella di Orban”). Sempre a tempo scaduto – dopo 7 mesi dall’invasione – il capo del Carroccio annuncia di aver cambiato opinione su Putin. Bisognerà capire se la coalizione riuscirà a trovare una sintesi. Curioso tuttavia che in questa campagna elettorale il Pd non abbia provato a mettere il sale sulle ferite delle divisioni interne agli avversari, dividendo euro-atlantisti da sovranisti e filo-putiniani (qualcosa di più attuale della contrapposizione “fascismo-antifascimo” e degli allarmi sulla tenuta della democrazia). Le occasioni non sono mancate, ma del conflitto si parla prevalentemente in via indiretta, per via della crisi energetica. Viene da chiedersi se Letta rinunci ad attaccare Salvini sulla Russia perché abbia qualcosa da nascondere in casa propria, a partire da qualche nostalgico sovietico alla sua sinistra. Insomma, chi non è senza peccato… non può scagliare la prima pietra.
In tutto ciò – e chiudiamo con un misto di forma e sostanza – tutti i leader sono sbarcati su TikTok, tra l’altro ignorandone totalmente la grammatica. Le preoccupazioni degli italiani saranno anche i followers, ma la base è l’economia: bollette alle stelle, inflazione in aumento, il pane aumentato del 13,5%, incertezza sul futuro che ha indotto i cittadini a ridurre le spese e le imprese a rallentare gli investimenti. Nelle ultime legislative francesi il sistema a doppio turno ha favorito la radicalizzazione, Le Pen e Melenchòn, perché gli estremi hanno puntato prima di tutto sulle questioni economiche. Per mesi l’argomento principe è stato il tenore di vita dei francesi, colpito duramente dal caro prezzi e dall’assenza di prospettive. Ad allargare l’inquadratura, qualcosa di simile è già accaduto con i redneck statunitensi che hanno votato Trump e con i brexiters del Regno Unito. Forse qualche elemento di similitudine si può trovare con l’avanzata dei grillini che battono il Meridione difendendo il reddito di cittadinanza. Si dice che possano battagliare per la seconda posizione. Sarebbe incredibile. Vedremo tra pochi giorni. Per adesso, nell’assenza di politica estera, in questa “inedita” campagna elettorale vince TikTok. Che poi è pure cinese. (Public Policy)
@m_pitta