di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy / Policy Europe) – Il problema non è tanto trovare l’unità, ma continuare a fare dei passi avanti rispetto a quanto ottenuto finora. Che non è facile, visto che a volte serve (troppo) tempo e altre un bagno di dura realtà. Ma su Covid, vaccini, guerra, sanzioni e debito condiviso in questi due anni l’Europa ha dimostrato una inedita unità. Ora il tema è l’energia, dove i tempi non sembrano maturi per una sintesi. Apparentemente però, perché dalla riunione informale dei ministri dell’Energia di Praga – che quindi non prevede decisioni – dovrebbe uscire una proposta legislativa della Commissione. Si discute di acquisti condivisi, razionamenti, meccanismi di solidarietà tra gli Stati. Anche ovviamente di price cap. Se ne discuterà al Consiglio europeo della settimana prossima e poi a novembre per una conferma finale. Vedremo. Certo non c’è ancora una soluzione definitiva, ma si tratta di capitolo aggiuntivo ad un libro iniziato mesi fa. E che, pur tra qualche pagina spiegazzata, avvicina come mai prima gli Stati europei.
Restiamo sull’attualità. C’è la possibilità, smentita parzialmente, che per contrastare il caro bollette nel Vecchio Continente la Germania apra all’emissione congiunta di nuovo debito condiviso, con fondi erogati sotto forma di prestiti. Un’idea dei commissari Gentiloni e Breton, bollata come “personale” da Palazzo Berlaymont, che replicherebbe lo schema del fondo Sure e che consoliderebbe in forma soft il processo inaugurato con il Next Generation Eu: la federalizzazione europea del debito. Qualcosa che, fino al 2019, era assolutamente impossibile per il veto della Germania. Ora nel Governo tedesco c’è un dibattito tra il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, contrario alla proposta, e il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. Che avrebbe tirato fuori l’idea anche per far digerire ai partner europei il piano straordinario da 200 miliardi presentato la settimana scorsa. Ma che comunque è stato tra i sostenitori del Next Generation Eu. E che adesso dice, appunto, che “ci sono ancora molte risorse disponibili” nel Recovery. Se sostituiamo la parola Recovery con eurobond abbiamo la misura di cosa è cambiato in Europa dal 2020 a oggi.
Von der Leyen ha annunciato che è in arrivo una proposta per calmierare i prezzi senza mettere in pericolo l’approvvigionamento. Contrari sarebbero Olanda, Repubblica Ceca, Ungheria e, ancora una volta, la Germania. Con il principio del voto all’unanimità, ogni veto pesa. L’Europa è un grande acquirente di gas e finora è stato conveniente per tutti andare ciascuno per conto proprio negli acquisti, con regole comuni valide solo per vendita e distribuzione. Ma può darsi che a Berlino realizzino, come è capitato a Merkel dopo anni di austerità controproducente (diciamo dal 2008 all’agosto 2012), che “quello che è buono per l’Europa è buono anche per la Germania”. Oppure che si ripeta la storia del marzo 2020. A inizio pandemia ogni Stato andò sul mercato individualmente, dando vita ad una concorrenza nefasta per accaparrarsi i dispositivi medici. Il finale è risaputo: nel giro di qualche mese l’Ue ha iniziato a muoversi unita. E le cose sono andate meglio. Chissà che la storia non si ripeta. Comunque, in ambito energetico diverse cose sono già state fatte. Nel Regolamento adottato il 6 ottobre è stato deciso un prelievo sugli extraprofitti dei colossi energetici da cui esce un “tesoretto”, anzi un “tesorone” di 142 miliardi. E si discute – ed è comunque un bene – di un fondo comune per investimenti per liberarsi dalla dipendenza dall’estero (REPoweEu).
Allargando l’inquadratura alla guerra, la risposta unitaria all’aggressione russa all’Ucraina, arrivata all’ottavo round di sanzioni contro Mosca, condita con supporto economico, politico e militare, è un fatto incontestabile. Da febbraio si contano molte prime volte. L’Ue che fornisce armi a un Paese in guerra, la Germania che cambia politica estera dopo decenni, la Finlandia che chiede l’adesione alla Nato. L’abbandono al Nord Stream 2 prima che entrasse in funzione è stata la ciliegina sulla torta. Certo, spesso gli Stati hanno interessi divergenti (basta pensare all’amicizia di Orban con Putin), ma le istituzioni europee mostrano capacità di reazione. La Bce, per esempio, solo 2020 ha stanziato 1.100 miliardi di acquisti aggiuntivi di bond (750+210+140), oltre ad aver rimosso tutti i vincoli all’acquisto di bond (la durata, il capital key, il rating dei bond). La Commissione ha sospeso il Patto di Stabilità e la norma sugli aiuti di Stato. Per non parlare del citato Next Generation Eu. O di azioni più settoriali come quella sui semiconduttori.
Prima di fronte alla pandemia, poi di fronte alla guerra, ora nella crisi energetica l’Europa non è mai stata così unita. I movimenti no euro, non a caso, sono ridotti ai minimi termini. Ovviamente ogni ulteriore legame rende gli Stati meno autonomi, per cui certi Paesi non vorrebbero vincolarsi. Nel caso del price cap l’Olanda e la Germania. Ma anche in Italia e in Francia più di qualcuno ha timore che stabilire un fondo comune e poi doverne seguirne le regole possa limitarne la libertà. Per questo si fa fatica ad andare avanti. Non perché l’Europa non funziona, ma perché i suoi componenti sono titubanti. O riluttanti. Fino a che, alla prova dei fatti, non capiscono che gli conviene stare insieme. Anche se è un matrimonio di interesse e non proprio di vero amore. Purtroppo a volte serve un bagno di realtà. E prima o poi arriva. (Public Policy / Policy Europe)
@m_pitta