Twist d’Aula – Un Paese per vecchi (e il Governo non può farci niente)

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Un paio di settimane prima di diventare ministro, quando ancora era in Banca d’Italia, in una lezione riservata sulle prospettive economiche del Paese Daniele Franco sottolineava come, tra le quattro principali eredità della pandemia, ci sarebbe stato un aumento degli squilibri generazionali. Già nel Meeting di Rimini del 2020, poi nella sua visita a Bari di ottobre, come anche il 24 novembre a Torre Maura, Mario Draghi ha sottolineato l’importanza di politiche più attente alle nuove generazioni. Oggi, di fronte allo sciopero generale indetto giovedì da Cgil e Uil, emerge quanto quelle intenzioni restino difficili da attuare.

Landini e Bombardieri sostengono che si scende in piazza per difendere i diritti dei più deboli, in particolare donne e giovani. Tuttavia non scioperarono contro quota 100, che ha fatto esplodere la spesa pensionistica e non ha certo favorito il turnover. Anzi, ne hanno combattuto la cancellazione, ottenendo quota 102. Così facendo, oltre a non favorire l’occupazione giovanile, alle giovani generazioni è stato lasciato un bel carico aggiuntivo di debito pubblico. E intanto, mentre l’Ocse ci dice che l’età pensionabile effettiva media è la più bassa tra i Paesi industrializzati, è arrivata la notizia che chi inizia a lavorare oggi andrà in pensione a 71 anni.

Questa mobilitazione, certamente legittima, ha sollevato perplessità anche nei partiti più vicini alle organizzazioni dei lavoratori. Per il metodo, visto che arriva poco prima della chiusura dell’iter parlamentare della legge di Bilancio quando, dopo mesi di trattative, le misure su pensioni, fisco e welfare sono già quasi definite. Poi le questioni di merito. Siamo di fronte ad una manovra espansiva che stanzia ulteriori 2,5 miliardi per il welfare e prevede un taglio di tasse da 8 miliardi (di cui 7 a chi ha un reddito inferiore ai 50mila euro di reddito). Si può discutere se questo non sia abbastanza, tuttavia si fatica a trovare proposte concrete, come dovrebbero essere quelle sindacali, a favore di quella viene chiamata “generazione perduta”. La stessa manovra, tra l’altro, fornisce vantaggi limitati agli under 30, mentre le pensioni dovrebbero avere una rivalutazione intorno al 2%.

In tutto questo, allargando l’inquadratura, non dobbiamo dimenticare come fin dalla crisi del 2008, siano stati i pensionati ad aver sofferto meno la perdita di reddito. Al contrario, il 60% di chi ha tra i 20 e i 24 anni e il 32% di quelli tra 25 e 29 anni ha uno stipendio inferiore al massimo del reddito di cittadinanza (780 euro). La disoccupazione giovanile sfiora il 30%, contro il 7% della Germania e il 17% della Ue. Gli stipendi sono bassi e le prospettive fosche. La spesa in istruzione è tra le più basse dei Paesi Ocse. A queste condizioni non dobbiamo stupirci dei due milioni di Neet, della fuga all’estero, come anche della sindrome Yolo (“You only live once”). Soprattutto, non sorprende l’essere entrati in un gelido inverno demografico.

Per chi ha venti o trent’anni oggi, infatti, c’è poco da sperare, da immaginare, da costruire. Figuriamoci fare figli. Gli effetti sulla demografia sono lampanti, con la popolazione che non cresce dal 2010. Siamo il secondo Paese più anziano al mondo, con cinque over 65 per bambino, tre lavoratori per pensionato e una situazione che andrà progressivamente a peggiorare, visto che abbiamo il tasso di fecondità più basso d’Europa (1,2 figli per donna). Secondo l’Istat, rimanendo così le cose, da qui al 2065 continueranno a nascere meno di 500mila italiani l’anno, con ipotesi di scendere fino a 300mila. Forse è il caso di invertire la rotta. Viene da domandarsi se questo sciopero generale lo faccia. (Public Policy)

@m_pitta