di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Le elezioni europee – si vota nel 2024, un anno è lungo ma la politica è rapida – sono già nella testa dei leader. Il sistema proporzionale massimizza le tensioni nelle coalizioni, sicché ogni partito è destinato a dare il meglio (ma anche il peggio) di sé pur di conquistare quanti più voti possibile. Il destra-centro sembra già essere attrezzato tuttavia a gestire le tensioni interne, e a come superarle. Tant’è che è diventato persino un luogo comune: Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia discutono continuamente, ma quando c’è da presentarsi agli appuntamenti elettorali sono compatti (come dimostrano le recenti elezioni locali). Diverso il caso del Pd che sì, ha appena trovato un’intesa, non si sa quanto solida, sul salario minimo a 9 euro l’ora con M5s e Azione, ma quotidianamente si pone il problema di come fare convivere le varie litigiose opposizioni, per non parlare delle tensioni interne allo stesso partito di Elly Schlein.
Dalle elezioni europee dell’anno prossimo dipendono i destini politici di leader e partiti. Forza Italia, in difficoltà dopo la morte di Silvio Berlusconi (è già finito “l’effetto Berlinguer”), deve capire se riuscirà a superare la soglia del 4 per cento. Senza più la guida di Berlusconi, il partito, che pure si appresta ad andare al congresso, è nelle mani di Antonio Tajani. Se Giorgia Meloni dovesse superare la soglia del 30 per cento, a scapito magari di Forza Italia, con conseguente esclusione dei berlusconiani dai seggi di Bruxelles, si aprirebbe la questione di che fare dell’eredità liberal-democratica italiana. Un’eredità che già oggi è contesa, come ci dimostra agilmente la fine del matrimonio d’interesse fra Carlo Calenda e Matteo Renzi. Era tutto prevedibile e previsto, ma i due leader ci stanno mettendo un surplus di animosità. E mentre Calenda sembra guardare al centrosinistra, Renzi si sta avvicinando alla maggioranza. Come dice lo storico Giovanni Orsina, direttore della School of government della Luiss, “Renzi è un tattico, molto più che uno stratega e adesso si metterà dove passano le anatre, con il fucile puntato e in attesa, e magari qualcosa colpirà. Al di là della metafora venatoria, lui rimane il talento politico più puro che ci sia in Italia. Ha una velocità di esecuzione e una intelligenza tattica sconcertanti. Se Forza Italia nei sondaggi inizia a calare seriamente, potrebbe approfittarsene. Non credo però che abbia un piano in mente, proprio perché non è uno che ha piani: semplicemente, aspetta l’opportunità. L’opportunismo d’altra parte è un’arte, non è una cosa negativa”.
La fine dell’alleanza Calenda-Renzi era scritta nell’accordo siglato appena un anno fa. Troppe le divergenze caratteriali dei leader di Azione e Italia viva. Differenze sostanziali sono emerse tuttavia anche sulla visione pubblica del ruolo politico: “Non c’è un caso in Occidente di qualcuno che prende soldi da uno stato straniero, per di più totalitario, mentre è pagato come senatore della Repubblica”, aveva detto il leader di Azione l’anno scorso. Nei mesi successivi, prima dell’accordo con Renzi, naturalmente non era cambiato niente di niente. Perché l’ex presidente del Consiglio considera politicamente legittimi i suoi guadagni da consulente e non ha mai voluto rinunciarvi. Tutte cose che Calenda conosceva bene. Intendiamoci, anche Renzi conosceva bene Calenda. Quando nel 2016 lo prelevò da viceministro dello Sviluppo economico e lo mandò in Europa per pochi mesi a fare l’ambasciatore per conto dell’Italia – non aveva il pedigree giusto, secondo i diplomatici – l’allora capo del centrosinistra italiano tratteggiò Calenda con precisione: “Gli ambasciatori sono bravissimi, per carità. Ma quando hanno fatto un po’ di battutine sull’Italia a Bruxelles pensando di impaurirmi, ho risposto: se volete uno più rissoso di me e bravissimo sui dossier, vi mando Calenda che ha gestito benissimo dossier come quello sulla Cina”.
I margini di manovra al centro per entrambi si sono ridotti, anche se c’è forse ancora un elettorato potenziale che non vorrebbe essere assorbito dalle coalizioni. Il problema è con quale credibilità, visto che la lite nel condominio liberale potrebbe aver depresso non poco l’elettorato in cerca di partiti e leader da scegliere. Anche in questo caso, le elezioni europee metteranno un po’ di ordine, quantomeno nella fase di campagna elettorale? (Public Policy)
@davidallegranti