Dsa, Google: l’indagine della Commissione Ue danneggia gli utenti

0

ROMA (Public Policy Bytes) – L’indagine sulle nostre attività anti-spam è fuorviante e rischia di danneggiare milioni di utenti europei”.

Così Pandu Nayak, vicepresidente e chief scientist di Google Search, in un post pubblicato il 13 novembre sul blog aziendale The Keyword. La replica giunge in riferimento a un procedimento formalmente avviato il 13 novembre dalla Commissione europea per accertare la conformità di Google alla legge europea sui mercati digitali (Digital markets act, Dma).

La pratica sotto la lente di Bruxelles è quella anti-spam con cui l’azienda penalizza la classificazione sul suo motore di ricerca di siti web autorevoli che, tuttavia, vengono retribuiti da creatori di contenuti spazzatura per ospitarne delle inserzioni ingannevoli. Secondo Mountain View, il fenomeno, noto come “parasite SEO” (abuso della reputazione dei siti), è causa di “truffe” e di un generale “peggioramento dei risultati” di ricerca.

Nella sua nota, Nayak illustra così il funzionamento del meccanismo: “un creatore di contenuti spazzatura può pagare un editore per mostrare i propri post e link sul sito di quest’ultimo, sfruttandone la buona reputazione per indurre gli utenti a cliccare su contenuti di bassa qualità. Ad esempio, un sito sospetto che offre prestiti istantanei può pagare un sito autorevole affinché pubblichi i suoi contenuti, inclusi i link alle proprie offerte”. Tra gli esempi pratici riportati nella nota figura anche un’inserzione a pagamento che promuove la vendita di pillole dimagranti di dubbia provenienza.

“Consideriamo questo comportamento come spam – spiega l’articolo – perché sia gli utenti che i nostri sistemi credono di interagire con un sito affidabile, mentre in realtà si trovano al cospetto di una truffa. Questa pratica assume diverse forme, ma l’essenza è sempre la stessa: uno schema del tipo ‘pay-to-play’ (’paga per partecipare’) congegnato per ingannare i nostri sistemi di classificazione e gli utenti”.

La policy di Google Search contro lo spam – prosegue Nayak – esiste per un unico motivo: proteggere gli utenti dai contenuti ingannevoli e di bassa qualità, dalle truffe e dalle tattiche opache che li promuovono”, sostenendo che il procedimento avviato da Bruxelles sia “privo di fondamento”, segnalando che “un tribunale tedesco ha già respinto un reclamo analogo, stabilendo che la nostra policy anti-spam è valida, ragionevole e applicata in modo coerente”.

“Nel marzo 2024 – aggiunge – abbiamo aggiornato la nostra policy anti-spam sulla base di su un principio consolidato: un sito non può pagare o utilizzare pratiche ingannevoli per migliorare il proprio posizionamento su Search. Se consentissimo questo comportamento – permettendo ai siti di utilizzare tattiche poco trasparenti per scalare la classifica invece di investire nella creazione di contenuti di qualità – agevoleremmo gli attori malevoli a discapito di chi compete correttamente, peggiorando l’esperienza di Search per tutti”.

La Commissione europea si impegna a chiudere l’indagine entro 12 mesi dall’avvio del procedimento e, nel caso in cui accertasse una violazione, potrebbe imporre sanzioni fino al 10% del fatturato mondiale dell’azienda, con possibilità di salire fino al 20% in caso di reiterazione. (Public Policy Bytes) DVZ