di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – L’Europa vira a destra? Dipende da come andranno le trattative di queste settimane sulla nuova Commissione europea, ma dipende anche da come andranno le elezioni legislative in Francia (30 giugno e 7 luglio). La presidente uscente della Commissione, Ursula von der Leyen, candidata di punta del Ppe, cerca il bis (le serviranno almeno 361 voti su 720 a disposizione).
Fino a oggi la maggioranza era composta da 417 seggi e cinque anni fa von der Leyen riuscì a diventare presidente grazie anche al voto dei parlamentari del M5s. E stavolta di chi avrà bisogno? “Bisogna allargare la maggioranza”, ha detto il leader di Forza Italia e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, in un’intervista a La Stampa. A chi? “Ai Conservatori e non ai Verdi… Le elezioni hanno parlato chiaro: sull’ambiente serve una terza via, che non sia negazionista, ma nemmeno estremista come quella di Greta Thumberg e Franz Timmermans. E quindi non ci si può alleare con i Verdi”.
Peraltro i conservatori, che chiedono di essere rispettati e non esclusi dalle trattative, stanno riducendo il divario con Renew Europe, che con Ppe e Socialisti ha sostenuto von der Leyen finora. Il partito guidato dall’ex primo ministro ceco Andrej Babis, Ano 2011, ha appena annunciato l’uscita dal gruppo dei liberali di Renew, ampliando in questo modo il divario con il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei di cui è a capo Giorgia Meloni con i suoi Fratelli d’Italia. Renew dunque adesso ha 74 seggi, mentre Ecr 83. In questo modo l’attuale assetto della “maggioranza Ursula “avrebbe 399 voti, più che sufficienti almeno sulla carta. Se solo non ci fossero i franchi tiratori, che in un’elezione a scrutinio segreto sono un rischio concreto. La maggioranza Ursula potrebbe dunque allargarsi a destra, con i conservatori, come auspica Tajani? In questo caso sarebbe certificato il bluff di tutti quei partiti che, a destra come a sinistra, hanno ripetuto per settimane “mai più” o “mai con”, ponendo veti sulla costruzione delle alleanze a sostegno della presidente della Commissione. Non è che alla fine Meloni e Schlein si ritroveranno dalla stessa parte?
Non solo l’Europa, ma anche la Francia potrebbe spostarsi a destra. Il 30 giugno ci sarà il primo turno delle elezioni legislative. Secondo l’ultimo sondaggio Ifop-Fiducial per LCI, Sud Radio e Le Figaro, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella sarebbe, insieme alla destra di Eric Ciotti, al 35,5 per cento, davanti al Nouveau Front Populaire, di cui fanno parte Jean-Luc Mélenchon e Raphaël Glucksmann, al 29 per cento. Un sondaggio Ipsos per il Financial Times, condotto il 19 e il 20 giugno, ha rilevato che il 25 per cento degli intervistati ha più fiducia nel Rassemblement National per quanto riguarda la capacità di prendere le decisioni giuste sui problemi economici.
Chi vuole ottenere la maggioranza assoluta deve prendere 298 seggi su 577. Se questa maggioranza assoluta però non ci fosse, l’assemblea legislativa francese sarebbe ingovernabile. Il nuovo primo ministro avrebbe difficoltà a far approvare le leggi, ma potrebbe ricorrere all’articolo 49, comma 3, della Costituzione del 1958. È già successo in passato.
Come spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti, “questo articolo, inserito allora nel testo e poi modificato in seguito in senso restrittivo, ha la funzione di proteggere Governi cosiddetti di minoranza, ossia di maggioranza relativa, che abbiano contro di loro altre minoranze che di norma non sarebbero sommabili tra di loro”. Il Governo mette la fiducia perché se si votasse solo sul testo, “senza fiducia, si conterebbero i sì e i no: i gruppi di opposizione potrebbero sommarsi agevolmente, ciascuno con le proprie motivazioni separate, e l’esecutivo potrebbe perdere. Invece il Governo mettendo la fiducia fa sì che il testo o passi senza voto (se le opposizioni non reagiscono) oppure se esse presentano mozioni di sfiducia per reazione alla fiducia il metodo cambi alzando lo scalino: una mozione di sfiducia votata insieme deve arrivare alla metà più uno dei componenti”. È una logica analoga alla sfiducia costruttiva, osserva Ceccanti: “Gli oppositori hanno l’onere della prova di dimostrare che la maggioranza è in realtà una minoranza, ma per farlo dal punto di vista quantitativo hanno l’obbligo di arrivare alla metà più uno e dal punto di vista qualitativo sono obbligati per così dire a sporcarsi le mani votando insieme ad avversari politici che sono posizionati sull’altro estremo”. Ma per ora sono tutte ipotesi pre-elettorali. (Public Policy)
@davidallegranti