Da Meloni al duo Calenda-Renzi: chi va a caccia dei voti di FI

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – La malattia di Silvio Berlusconi, nonostante i miglioramenti, riapre interrogativi pregnanti sul futuro di Forza Italia. Interrogativi che girano nella testa della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che non può fare a meno, per il Governo, del partito nato trent’anni fa e cresciuto a immagine e somiglianza del suo fondatore.

Forza Italia, ha detto una volta Marcello Pera, un tempo vicinissimo a Berlusconi e oggi senatore di Fratelli d’Italia, “è un partito del presidente. C’è il presidente e ci sono gli elettori. Piaccia o no, questo partito è nato e morirà così”. Ed essendo il partito di Berlusconi “nato con Berlusconi, dipendente dalle intuizioni di Berlusconi oltre che in alcune circostanze dai soldi di Berlusconi, e dai voti di Berlusconi, bisogna rispettarlo per quello che è”. Non c’è definizione migliore per Forza Italia. Non esiste Forza Italia senza il Cav. e non c’è spazio per aspiranti emulatori. È per questo che sia nella maggioranza sia nell’opposizione si ragiona su come poter mantenere o anzi conquistare quell’elettorato liberale che deve inevitabilmente confrontarsi con il corpo malato del Cav.

C’è anzitutto Meloni, che con la sua idea di partito conservatore – coltivato da anni – punta alla ricostruzione di un’identità di destra diffusa, senza nostalgie (Ignazio La Russa permettendo) ma con una salda collocazione atlantica. Un’operazione che non può riuscire con il reducismo ma con un’apertura ampia al centro. Ed è qui, in questo spazio, che nasce la teorica concorrenza del Terzo polo, dove però i problemi non mancano.

Azione e Italia viva, per ora riuniti in federazione, potrebbero creare entro l’anno un partito unico, ma per ora sono solo parole e buone intenzioni. In diverse parti d’Italia i due partiti vanno per conto proprio, le imminenti amministrative non sembrano essere d’aiuto alla causa dell’unità terzopolista. Le elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia hanno certificato le difficoltà del polo di centro persino nel produttivo Nord-Est, dove – parola degli stessi dirigenti di Azione e Italia viva, a partire da Ettore Rosato per proseguire con Carlo Calenda – l’elettorato moderato ha preferito votare per la conferma di Massimiliano Fedriga.

La malattia di Berlusconi potrebbe accelerare le difficoltà costitutive di un partito unico, perché gli approcci di Matteo Renzi e Calenda – quest’ultimo futuro segretario, a quanto pare, dei lib-dem – potrebbero essere diversi. Renzi è sempre apparso il più trasversale tra i politici italiani, e lo è anche in confronto a Calenda. C’è da dire tuttavia che questo era vero almeno fino alle elezioni europee del 2014, ma già alle elezioni regionali del 2015 l’elettorato di centrodestra aveva cambiato idea su Renzi. In teoria comunque è l’ex presidente del Consiglio il competitor di Meloni dell’eredità berlusconiana. D’altronde Renzi sembra aver già iniziato a smarcarsi dal compagno di viaggio Calenda. La settimana scorsa è diventato direttore de Il Riformista, editore Alfredo Romeo, che riporta in edicola anche l’Unità (diretta da Piero Sansonetti).

Una mossa che nel Terzo polo, lato Calenda, è stata vista con preoccupazione. Anche perché i calendiani sanno che non c’entra la noia, non soltanto almeno, di Renzi. La questione è politica. L’ex sindaco di Firenze con un giornale a disposizione – che finisce nelle rassegne, che entra nel dibattito pubblico quotidiano – si potrà facilmente distinguere dall’avventura terzopolista. Non è un caso che Renzi abbia subito specificato che la linea editoriale non sarà quella della federazione calendiana. Il senatore fiorentino ha bisogno di marcare la differenza e resterà sempre un solista, per questo la coabitazione con Calenda è destinata a restare – eufemismo – complessa. Ma il Renzi che punta all’elettorato moderato potrà contare anche sul consenso del vecchio elettorato Pd che stava con lui quando era segretario del partito del Nazareno, adesso che c’è Elly Schlein? Potrebbe non essere così semplice.

La nuova segretaria ha effettivamente spostato il baricentro del Pd a sinistra, come dimostra anche la composizione dell’Esecutivo presentato su Instagram la settimana scorsa. I nomi e le biografie dicono molto, se non tutto. Soprattuto quelli del cerchio magico schleiniano. Da Marco Furfaro, che ha la delega alle iniziative politiche, a Igor Taruffi, responsabile organizzazione, appena iscritto al Pd, trionfa il movimentismo. Tuttavia non è automatico il passaggio di voti dal fronte del Pd ex renziano (superstite) al centro italo-azionista. Anche perché questo passaggio sarebbe già dovuto avvenire in questi anni. Occasioni per un elettore di centrosinistra per mollare il Pd ce ne sono state a sufficienza in questi anni. Alla fine uno potrebbe anche decidere di accontentarsi di quel che ha da offrire casa Schlein. (Public Policy)

@davidallegranti