(Public Policy) – Roma, 22 ott – “Sarà difficile tornare a votare nella primavera del 2015. Le larghe intese potrebbero durare fino al 2016. Se avessimo fatto subito le riforme ai sensi dell’articolo 138 avremmo fatto prima, risparmiando tutti questi mesi. E se l’obiettivo era soprattutto quello di superare il Senato, saremmo già a buon punto”.
Lo scrive nel suo blog il deputato e candidato alla segreteria nazionale del Pd Pippo Civati, riportando un’analisi sulla tempistica delle riforme del professore di Diritto costituzionale a Pisa Andrea Pertici. “Se il Senato confermerà le modifiche costituzionali con un voto superiore ai due terzi – scrive Civati – e partirà il lungo percorso di riforme costituzionali che tutti stimano in diciotto mesi, quando si potrà andare a votare?“.
LA RISPOSTA DI PERTICI
“Verrà approvato domani in seconda lettura dal Senato il ddl costituzionale che modifica – una tantum – il procedimento di revisione costituzionale. Il medesimo ddl giungerà all’approvazione della Camera intorno alla metà di dicembre per diventare legge costituzionale entro l’anno, se vi sarà la maggioranza dei due terzi in entrambe le Camere o in primavera – più o meno inoltrata a seconda che il referendum sia effettivamente richiesto – se invece non si andrà oltre la maggioranza assoluta”.
“Così, il Parlamento potrà procedere – con questa nuova procedura di deroga all’art. 138 Cost., utilizzabile solo in questa occasione – alla modifica della seconda parte della Costituzione, che richiederà, secondo quanto espressamente previsto, 18 mesi di lavori parlamentari, cui si aggiungeranno tre mesi per presentare le richieste di referendum (obbligatorio) e poi i tempi per il controllo, l’indizione e lo svolgimento dello stesso (circa altri 3 mesi)”, precisa il professore universitario. Complessivamente, quindi, occorreranno “circa due anni, decorrenti, nella migliore delle ipotesi, dalla fine di dicembre oppure da aprile o giugno 2014. Il tutto non può concludersi, in sostanza, prima del 2016 (più o meno inoltrato)”.
Secondo Pertici se “si fossero volute fare (semplicemente) alcune riforme costituzionali, magari a partire da quelle condivise – almeno a parole – più o meno da tutti, come la riduzione del numero dei parlamentari, il voto per il Senato ai diciottenni e la differenziazione del ruolo delle due Camere (con fiducia al Governo espressa dalla sola Camera), si sarebbe potuto fare molto prima”. “Si poteva – precisa il professore – procedere direttamente sulla base dell’articolo 138 della Costituzione”.
“In questo modo tra maggio e giugno si sarebbe potuto elaborare, in Parlamento, il testo del ddl che le Camere avrebbero potuto licenziare – in prima deliberazione – entro la sospensione estiva (primi d’agosto). A quel punto tra la fine di ottobre ed i primi di novembre (cioè essenzialmente adesso!) ci sarebbe potuta essere la seconda deliberazione. Se questa fosse avvenuta a maggioranza dei due terzi la procedura si sarebbe conclusa qui. Se fosse stata approvata a maggioranza assoluta sarebbero trascorsi all’incirca altri sei mesi per l’espletamento dell’intera procedura referendaria”.
LA CONCLUSIONE DI CIVATI
“Anche se i tempi fossero accorciatissimi rispetto all’impegno che la maggioranza ha preso con se stessa – conclude il deputato Pd – sarebbe difficile immaginare che il passaggio referendario, la sua preparazione e la sua votazione, si svolgesse durante il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. Perché se nel semestre europeo non si può votare, com’è noto, per le elezioni politiche, non si può nemmeno votare nemmeno per i referendum costituzionali, giusto?”. (Public Policy)
GAV