di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – “Incriminano me per attaccare voi, provano a silenziare me per silenziare voi”. Donald Trump nel fine settimana ha parlato di fronte a oltre tremila sostenitori riuniti all’hotel Hilton di Washington per il galà di conclusione del Faith&Freedom Coalition’s Road to Majority Policy Conference. Ancora una volta ha aizzato il pubblico, spiegando quanto siano fraudolenti le incriminazioni a suo carico degli ultimi mesi. Di recente, in queste settimane, il procuratore speciale Jack Smith ha messo sotto accusa l’ex presidente degli Stati Uniti con 37 capi d’accusa (l’indagine è quella sui documenti riservati trovati nella sua villa a Mar-a-Lago). In più c’è stata una condanna a New York per abuso sessuale (ma non per stupro, la differenza è legalmente sensibile).
Eppure niente sembra mettere in discussione la sua vittoria, fin qui certa, alle primarie Repubblicane per scegliere il candidato alle elezioni presidenziali del 2024. Nemmeno il governatore della Florida Ron DeSantis, trumpiano nelle idee ma non nello stile, riesce a scalzarlo. E dire che il personaggio è in linea con il trumpismo diffuso, almeno sulla carta: è contrario alle mascherine durante l’emergenza sanitaria e ostile all’ideologia woke. Eppure non basta. Secondo un sondaggio CNN della settimana scorsa, il 47 per cento degli elettori repubblicani registrati dice che Trump è la prima scelta. In calo rispetto al 53 per cento di maggio, ma sempre saldamente al comando. DeSantis invece è fermo al 26 per cento, mentre Mike Pence non si schioda dal 9 per cento. Altri competitor, come Nikki Haley, sono fermi al 5 per cento o poco sotto.
Trump ha subito molte sconfitte in questi anni. Dalle elezioni di MidTerm nel 2018 alle elezioni presidenziali nel 2020. E rimane l’unico presidente in ottant’anni di storia del sondaggio Gallup di approvazione sull’operato presidenziale a non aver mai raggiunto il 50 per cento. Tuttavia, potrebbe davvero essere lui il vincitore delle primarie repubblicane. DeSantis, ha notato Janan Ganesh sul Financial Times, “non importa quanto sia sincero ed effettivamente populista. Si presenta come una creatura dell’establishment”. Ha qualcosa a che fare con la Ivy League, e non ha scandali da regalare all’elettorato (né finanziari né sessuali).
C’è una differenza fondamentale fra DeSantis e Trump. Il secondo sembra volere sovvertire le istituzioni, inseguendo il canone tipico della mentalità populista. L’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 con un Trump ben felice del “lavoro” svolto dai suoi sostenitori, che oggi difende strenuamente, ne è la dimostrazione. Il populismo ha sempre una componente di sovversione; vuole cambiare connotati alle istituzioni. Per questo c’è differenza fra chi ragiona come l’uomo comune, e ne rappresenta i problemi, come DeSantis, e chi vuole in nome del popolo scardinare le regole del gioco democratico, come Trump. Che alla conferenza di Washington ha attaccato l’attuale presidente degli Stati Uniti Joe Biden definendolo “corrotto” e tacciandolo di essere il “peggior presidente della storia Usa”; ha anche attaccato la giustizia americana “manipolata”, quella che secondo lui ha avviato una “caccia alle streghe” nei suoi confronti.
J. Michael Luttig, un giudice di orientamento conservatore, ha spiegato sul New York Times che il “sostegno senza spina dorsale dei repubblicani negli ultimi due anni ha convinto Trump della sua immortalità politica”. È insomma troppo semplice dare la colpa solo agli elettori; ci sono anche le responsabilità del gruppo dirigente. “In una parola, i Repubblicani sono responsabili tanto quanto Trump per l’incriminazione di questo mese – e lo saranno anche di qualsiasi accusa e procedimento giudiziario” per i tragici fatti del 6 gennaio 2021, giorno dell’assalto al Campidoglio. “Uno penserebbe che, per un partito che si vanta di tenere alla Costituzione e allo stato di diritto, questo potrebbe indulgere in una certa autoriflessione tra i dirigenti repubblicani e persino fra i suoi elettori a proposito del loro costante sostegno all’ex presidente”. Luttig dice insomma che non è mai troppo tardi per rendersi conto di quanto Trump sia stato dannoso per gli Stati Uniti anche per colpa degli stessi elettori e dirigenti repubblicani. (Public Policy)
@davidallegranti