di Gaetano Veninata
ROMA (Public Policy) – Mentre il presidente della Repubblica rispondeva alle discutibili opinioni sulla giustizia italiana dell’uomo forse più potente del mondo, difendendo la Costituzione e la sovranità italiana, gli autodichiarati sovranisti erano impegnati (non parlo del Governo, non disturbiamolo, si farà sicuramente sentire, con fermezza, prima della fine dell’anno, tocca solo capire quale) a occuparsi – in aula alla Camera – di aree interne, del piccolo mondo antico, della provincia.
Due esempi su tutti.
Il leghista Alessandro Giglio Vigna, poetico: “Il centro è una questione di prospettiva e per chi abita nella cosiddetta deep Italy, nell’Italia profonda, il centro è casa propria. Per noi, quelle luci, un po’ più distanti l’una dall’altra, un po’ più piccole, brillano quanto le luci più grandi […] Siamo i territori, siamo le cittadine, siamo i piccoli borghi, siamo la provincia. Molti di noi ogni giorno affrontano veri e propri viaggi per andare a lavorare nelle grandi città, ma preferiamo alzarci due ore prima e non lasciare la dimensione del paese. Siamo l’Italia rurale, siamo l’Italia agricola, ma non solo, ovviamente”.
Il fratellino d’Italia Paolo Trancassini, musicale: “Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi: ‘Gli amici miei son quasi tutti via. E gli altri partiranno dopo me. Peccato, perché stavo bene in loro compagnia’. Che sarà è una canzone famosa, che soprattutto gli anziani come me ricorderanno, dei Ricchi e Poveri. Era il 1971, e nel 1971, in questa Nazione, si diceva ‘tutto se ne va’ e ‘gli altri partiranno dopo me’. Era ineluttabile andare via dal Paese che stava sulla collina e, dal 1971 ad oggi, non se ne è accorto nessuno, non c’è stata una politica all’altezza di questa sfida“.
Come dargli torto. Anzi, come non proseguire, canticchiando speranzosi insieme ai Ricchi e Poveri, con lo sguardo rivolto a questo Parlamento: “Tutto passa, tutto se ne va”. (Public Policy)
@VillaTelesio