di Francesco Galietti*
ROMA (Public Policy) – Il vertice NATO appena concluso ha dato la stura a una nutrita serie di riflessioni. Svolte alla vigilia delle presidenziali americane, esse oscillano perlopiù tra il festoso e il pessimistico. Da un lato c’è chi considera la probabile vittoria di Trump una campana a morto per l’Alleanza atlantica data l’insofferenza dello stesso Trump per piattaforme multilaterali. Dall’altro lato c’è chi considera la contrapposizione a blocchi una tendenza tanto inesorabile quanto impersonale. In quest’ultima categoria rientrano per esempio Zeno Leoni e Sarah Tzinieris, due giovani studiosi del King’s College di Londra, autori di un articolo pubblicato la scorsa primavera sul prestigioso periodico Survival (‘The Return of Geopolitical Blocs’). Leoni e Tzinieris sottolineano che non solo la NATO è lontana anni luce da quella del primo mandato Trump, ma è oggi affiancata da strutture ‘minilaterali’ come il Quad, che vede il coinvolgimento di India e Giappone, e Aukus, per tacere degli accordi militari con le Filippine.
Questa strategia di minilateralismo diffuso presenta due aspetti degni di nota. Il primo è che si è rivelata piuttosto efficace nel perseguire l’obiettivo dichiarato di accerchiare la Cina. La controprova è una lunga intervista data da Wang Huiyao, a capo del think tank filo-Xi CCG, al quotidiano economico tedesco Handelsblatt venerdì scorso. Il fastidio di Wang Huiyao per Aukus, il Quad e quelle che definisce ‘tante piccole NATO attorno alla Cina’, è palpabile. Il secondo è che la collaborazione tra la NATO, il Quad e Aukus è molto fluida, e che gli USA così vogliono: la dimensione atlantica è ora pienamente coordinata con quella (indo)pacifica.
È poi da mettere in conto che, con Trump alla Casa Bianca (ma anche con Biden o qualcun altro), sarà l’Indo-Pacifico ad assorbire la maggior parte delle energie e dell’attenzione di Washington. Inevitabilmente, ai partner europei della NATO toccheranno maggiori responsabilità. D’altra parte, con la Russia che insiste sul fianco orientale non solo della NATO ma anche dell’Unione Europea, non potrebbe andare diversamente. E che qualcosa stia già accadendo, lo si capisce dai piani russi di assassinare Armin Papperger, l’amministratore di Rheinmetall, il colosso dell’industria bellica tedesca. I piani, sventati dagli USA, sono il segno che Mosca sta prendendo molto sul serio non solo il riarmo tedesco, ma anche il ruolo di puntello svolto dalla Germania in quell’area, in stretto coordinamento con i più stretti alleati del Regno Unito sul continente europeo: baltici, scandinavi e polacchi.
Uno sguardo al calendario ci regala un ulteriore elemento degno di nota: il 18 luglio, a Blenheim Palace nel Regno Unito, si celebrerà un vertice della EPC (European Political Community), la sigla che riunisce i Paesi UE, diversi partner extra-UE tra cui gli ultimi arrivati come Islanda, Georgia, Kosovo e Albania, e ovviamente alcuni membri-chiave della NATO come lo stesso Regno Unito, la Norvegia e la Turchia. Per un po’ non accadrà granché, complice la presidenza di turno ungherese in casa UE. Ma è questione di poco. Dopo gli ungheresi, toccherà a filo-britannici di ferro come Polonia e, sei mesi dopo, Danimarca. (Public Policy)
*esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar