(Public Policy) – Roma, 27 set – (di Gaetano Veninata)
Aperte, chiuse, di coalizione e di partito, all’italiana o
made in Usa. Esistono tanti tipi di primarie, e in Italia
non si è ancora capito bene a quale modello tendono i nostri
partiti, in primis il Partito democratico, ma non solo.
Anche movimenti in crescita, come quello di Beppe Grillo,
guardano allo strumento delle primarie, in questo caso
virtuali.
Public Policy ha intervistato sul tema Lorenzo Cuocolo,
professore di Diritto costituzionale alla Bocconi di Milano.
D. COSA SONO LE PRIMARIE
E COME SONO REGOLATE IN ITALIA?
R. La nostra Costituzione – ma, tanto per capirci, nemmeno
quella degli Stati Uniti – non ne dà alcuna definizione, nè
fissa regole o procedure in merito. La nostra Carta tra
l’altro si occupa solo nell’articolo 49 dei partiti,
riconoscendone la funzione essenziale (e imponendo ad ogni
partito di adottare il metodo democratico nella propria
organizzazione interna; NdR).
Il problema è che quest’articolo non è mai stato
implementato da una legge di attuazione. Se ci fosse stata
una legge organica, molte storture che vediamo oggi non ci
sarebbero state. Vale anche per primarie, laddove le regole
si ritagliano sui risultati che di volta in volta si
vogliono ottenere: sono in sostanza primarie fatte in casa,
un po’ fai-da-te.
D. COME FUNZIONA NEGLI STATI UNITI?
R. Negli Usa (dove esistono dal 1847; NdR) le regole sono
molto complicate, perchè variano da Stato a Stato, e sono in
parte statali in parte dei partiti. Almeno le regole di
fondo le fissa comunque la legge. Si trovano sia primarie
aperte, sia chiuse, sia miste (ovvero: ‘Vieni a votare, però
ti iscrivi in un registro di coloro che dichiarano di essere
elettori del nostro partito’). Alle primarie negli Stati
Uniti può andare a votare chiunque, ma al massimo per una
sola primaria (o democratica o repubblicana). Anche i
candidati possono presentarsi a una sola primaria.
Poi c’è il sistema dei
caucus che praticamente è un sistema di derivazione
ottocentesca, non regolato dalle leggi dello Stato. Si
tratta in sostanza di assemblee nelle quali si discute, ma
con regole privatistiche che ogni partito si fa.
D. IN QUALI PAESI SI SVOLGONO?
R. Ora si stanno abbastanza diffondendo, sono un po’ una
moda. È una cosa che dipende anche dai sistemi elettorali,
perchè le primarie hanno senso quando io devo selezionare un
solo candidato, per una lista proporzionale non mi servono a
niente: o meglio, posso anche farle per selezionare chi
entrerà in lista (se ne parla all’interno del Pd) ma
storicamente non è mai stato fatto.
In Francia François Hollande è stato il primo presidente
eletto a seguito di primarie all’interno del Partito
socialista. In Europa si tratta di una tradizione
socialdemocratica: in Grecia, recentemente, le ha fatte
anche il Pasok.
D. COME VEDE IL DIBATTITO ATTORNO
ALLE FUTURE PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA?
R. I grossi nodi da sciogliere sono due: primarie di
partito o di coalizione, e se le fanno di coalizione (come
sembrerebbe, visto che tra i candidati ‘ufficiali’ c’è Bruno
Tabacci dell’Api; NdR) lo statuto del Pd non serve a niente
e le nuove regole dovranno essere condivise dalla
coalizione. L’altro nodo è se farle chiuse o aperte. Renzi
le vuole aperte, mentre se passa la linea primarie chiuse
risulterebbe fortemente avvantaggiato Bersani.
D. LE SCELTE DEI CANDIDATI ALL’INTERNO DEL MOVIMENTO 5
STELLE SI POSSONO DEFINIRE PRIMARIE?
R. In realtà non si capisce bene come funzionerà: bisogna
mandare un documento d’identità scansionato e iscriversi in
un registro. Poi da lì non ho capito quale sia il passaggio
successivo. Io sono molto perplesso su queste forme di
utilizzo della rete per le dinamiche democratiche. In realtà
le primarie, per essere significative, dovrebbero mettere
nelle condizioni di esprimersi tutti coloro che poi sono
chiamati a votare all’elezione per la quale si fanno.
Pensiamo a tutti quelli che non sono capaci o non hanno la
possibilità di esprimersi via web, sono comunque persone che
vanno a votare, magari anche per il M5s. Da questo punto di
vista mi sembra più condivisibile la posizione classica,
statunitense. (Public Policy)