di Giuseppe Pastore
ROMA (Public Policy) – Dopo un esame in commissione durato nove mesi è arrivato il primo via libera dall’aula della Camera per il ddl Lavoro: il provvedimento varato a maggio 2023 dal Consiglio dei ministri che durante l’iter nella XI di Montecitorio pur essendosi arricchito di nuovi articoli si è in parte svuotato rispetto al testo originario.
Alcune norme, infatti, sono confluite in altri provvedimenti. Basti pensare alla soppressione di due articoli proposta dalla relatrice Tiziana Nisini (Lega) a pochi giorni dall’avvio dell’esame in aula.
Vediamo, allora, come è cambiato il disegno di legge che adesso si prepara ad essere trasmesso in Senato dove è in corso l’iter di un ddl analogo a prima firma Paola Mancini (FdI) che introduce alcune “semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale”. Anche in questo caso bisognerà adattare il testo sopprimendo, ad esempio, la norma che introduce le dimissioni volontarie automatiche in caso di assenze ingiustificate per evitare, sostanzialmente, che si configurino gli estremi per il licenziamento e che quindi si maturi il diritto a percepire la Naspi.
ARRIVANO LE DIMISSIONI AUTOMATICHE DOPO 15 ASSENZE INGIUSTIFICATE
La norma sulle dimissioni automatiche è stato l’ultimo scoglio su cui la commissione si è concentrata prima di licenziare il testo che, nella formulazione iniziale, fissava a 5 (se non diversamente previsto dal contratto collettivo) i giorni sufficienti per far scattare le dimissioni automatiche.
Sul punto si è giunti a fatica a un accordo: il Governo, infatti, ha riformulato tre emendamenti parlamentari (presentati da Pd, M5s e Forza Italia) riscrivendo di fatto la norma. Adesso, infatti, i giorni sono stati aumentati a 15, escludendo le dimissioni nel caso in cui “il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza”.
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