Gli alleati-avversari di Meloni e i problemi dell’opposizione

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – Silvio Berlusconi torna a esternare sull’Ucraina. Matteo Salvini inaugura il Governo parallelo, con iniziative in autonomia sul tetto dei contanti e il bomba libera tutti sulle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria. Per Giorgia Meloni, a Palazzo Chigi da pochi giorni, sta per inaugurarsi un novembre molto caldo sul fronte interno ma anche sul fronte esterno. Mentre i primi provvedimenti sono sulla giustizia (per rinviare, fra le altre cose, l’applicazione della riforma Cartabia), è sul caro energia che l’attenzione di famiglie e imprese si sta concentrando. Inevitabilmente. Ma il Governo come intende affrontare l’emergenza? Secondo il Corriere della sera “s’ipotizza un quarto intervento di aiuto per imprese e famiglie, probabilmente già in settimana con un secondo Consiglio dei ministri, che estenda alcune misure in scadenza. Misure finanziabili attingendo al ‘tesoretto’ da dieci miliardi lasciato in eredità dal Governo Draghi come extra-gettito derivante dall’aumento dei proventi di alcune imposte indirette come l’Iva”. Non c’è tempo da buttare insomma in sortite scoordinate. Meloni si trova con due alleati-avversari tutt’altro che semplici da gestire. 

E l’opposizione? Anche lì i problemi non mancano. Prendiamo per esempio il Pd. Il 12 marzo 2023 si celebreranno le primarie per scegliere il nuovo segretario che prenda il posto di Enrico Letta. Con molta calma, insomma, i democratici sceglieranno il loro nuovo leader attraverso una fase che lo stesso Letta definisce “costituente”. “Perché il gruppo dirigente che non ritiene di potere più guidare il Pd dopo l’esito delle elezioni ritiene però di avere titolo a rifondarlo?”, si chiede l’ex deputato Fausto Raciti. Nel suo intervento, alla direzione nazionale, il segretario Letta, sconfitto alle elezioni politiche del 25 settembre ha spiegato che per la prima volta non conosceremo il nome del prossimo capo del centrosinistra, perché non c’è già un vincitore annunciato. Non si capisce perché questo dovrebbe essere motivo di soddisfazione. Se non conosciamo esattamente  chi sarà il prossimo segretario non è perché c’è una competizione serrata. Semplicemente, gli aspiranti segretari (anche quelli potenziali) sembrano assai deboli. Sono leadership di popolarità media, non c’è un Matteo Renzi di sinistra che spicca sopra gli altri. Alcuni di loro potrebbero avere seri problemi ad affermarsi fuori dalla loro Regione.

Per il Pd c’è oggi un rischio concreto: che il M5s li superi nei sondaggi, mentre sono affaccendati in vicende congressuali. Ogni giorno, come vediamo, spunta un potenziale aspirante segretario. Serviranno 5mila firme per presentarsi al congresso, forse le ambizioni saranno ridimensionate, almeno per qualcuno. Per il Pd c’è comunque l’occasione di uscire dal congresso con una nuova identità. C’è chi parla insistentemente di scioglimento e rifondazione, ma forse basterebbe uscire dalle ambiguità di un partito diviso sempre fra due anime – una più riformista, l’altra più massimalista – e dunque terreno di conquista dei populisti. Giuseppe Conte, d’altronde, sembra ben disposto a scippare voti al Pd, con quei suoi toni burbanzosi (ora anche tra i banchi di Montecitorio) e quella sua piattaforma radical-populista che piace a molta sinistra. Forse trovandola più coerente con i propri valori di ispirazione. Il risultato potrebbe essere una radicalizzazione del M5s e un impoverimento del Pd in termini di voti. Ma il congresso dovrebbe servire a evitare la deriva verso percentuali ancora inferiori a quelle del 25 settembre.

E il Terzo polo? Chissà come hanno preso le “aperture” di Renzi in Senato al Governo dalle parti di Azione. Carlo Calenda ha detto che il discorso di Renzi in aula, durante il dibattito sulla fiducia al Governo Meloni, è stato “perfetto”, ma probabilmente coltiva dentro di sé coltivi seriamente il dubbio che alla fine prima o poi l’ex segretario del Pd voglia fregarlo. Il tema della tenuta del Terzo polo riguarda anche simpatizzanti come Claudio Velardi che su Twitter ha detto ieri quello che sto cercando di spiegare da mesi: quanto può reggere l’accordo Renzi-Calenda. “L’alleanza tra Matteo Renzi e Carlo Calenda non può funzionare a lungo. Finora hanno gestito la convivenza con equilibrio, ma sono troppo diversi tra loro, per carattere, esperienze, profili”, ha detto Velardi. “Tra i due c’è un evidente ‘non detto’, che genera smarrimento e confusione tra le tante persone che credono al progetto di una forza riformista e moderata. Le prossime assemblee di Azione e Iv non aiuteranno, perché creeranno due apparati che sarà poi impossibile unificare”. Come abbiamo avuto già modo di dire qui su Public Policy, i galli nel pollaio del Terzo polo sono troppi. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)