di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Il via libera all’uso delle armi da parte del Parlamento europeo – approvato da una risoluzione nella quale si chiede, fra le altre cose, al punto 8, di “revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo, in quanto ciò ostacola la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa ai sensi del diritto internazionale pubblico e lascia l’Ucraina esposta ad attacchi contro la sua popolazione e le sue infrastrutture” – ha messo in evidenza le divisioni di maggioranza e opposizione sul sostegno a Kiev. Il testo è passato con 425 voti a favore, 131 contrari e 63 astensioni. Tra i favorevoli, i parlamentari di Fratelli d’Italia (maggioranza), di Forza Italia (maggioranza) e del Pd (opposizione). Contro, invece, gli eurodeputati di Lega (maggioranza), M5s (opposizione) Sinistra italiana (opposizione) ed Europa Verde (opposizione).
La lettura del voto però non può esaurirsi qui. Il Pd non è stato tutto compatto sul voto alla risoluzione: Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire, e Cecilia Strada, ex presidente di Emergency, si sono astenuti. Ma la divisione più fragorosa si è vista sul punto 8 – votato separatamente – quello con cui si chiede di rimuovere il divieto di usare le armi inviate all’Ucraina per colpire gli obiettivi militari sul territorio russo: 377 voti favorevoli, 192 contrari e 50 astenuti. Il voto ha dunque spaccato il Partito democratico. Dieci parlamentari su 21 hanno votato contro (Brando Benifei, Antonio Decaro, Matteo Ricci, Alessandro Zan, Nicola Zingaretti e Cecilia Strada) mentre a favore hanno votato Elisabetta Gualmini e Pina Picierno.
Divisioni anche nella maggioranza. È dunque ancora una volta la politica estera il vero terreno di scontro interno alle coalizioni. Si tratta di divisioni fondamentali per la tenuta e la coerenza di una coalizione, soprattutto una coalizione che governa, eppure ormai si fa finta di niente. Lo notava Angelo Panebianco lo scorso 14 settembre sul Corriere della Sera, prima dunque del voto all’Europarlamento sulla risoluzione: “Quando le classi politiche si imbattono in un problema che non possono risolvere, cercano di nasconderlo sotto il tappeto. Con gradi variabili di successo. In ogni caso la politica estera, al fine della formazione di alleanze fra partiti non è più un tabù: sei un putiniano mentre io sono schierato con la Nato? Vuoi che Putin si mangi l’Ucraina mentre io voglio difenderla? Hai idee completamente diverse dalle mie su come l’Italia dovrebbe comportarsi entro l’Unione europea? Perché mai simili quisquiglie dovrebbe impedirci di governare insieme?”.
È ovvio, ha aggiunto Panebianco, “che quisquiglie non sono. Disaccordi fondamentali sulla posizione internazionale del Paese danneggiano l’Italia. In parte (ma solo in parte) il danno può essere ridotto, o non apparire in tutta la sua gravità, se i rapporti di forza entro la coalizione di governo sono tali per cui esiste un partito che sovrasta elettoralmente tutti gli altri. Come in questo momento il partito di Giorgia Meloni rispetto alle altre forze della coalizione. Ma anche così, la navigazione internazionale non è affatto tranquilla: vincoli sulle armi a Kiev, voci discordanti sull’Europa, eccetera”.
In politica arriva sempre il momento del disvelamento, quindi è inevitabile che il tema delle coalizioni incoerenti si riproponga ogni volta che c’è un voto come quello sul sostegno a Kiev. In confronto ai duelli sullo Ius scholae e la tassa sugli extraprofitti delle banche, per quanto importanti, la linea di frattura sulla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia porta con sé delle incompatibilità ideali che in un altro momento della storia sarebbero state esiziali per un Governo. Adesso invece ci si si limita a far finta di niente, a passarci oltre, nella certezza che la pubblica opinione se ne sarà già dimenticata alla prossima risoluzione parlamentare. (Public Policy)
@davidallegranti