di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Doveva essere la risoluzione del cambiamento, non è cambiato niente. Nel testo limato a dovere si chiede un “ampio coinvolgimento delle Camere”, che poi è la frase classica che viene usata quando si vuole superare una fase di farraginose incomprensioni. Che poi è pure quello che avrebbe voluto, almeno fino alle due di pomeriggio, Giuseppe Conte (evidentemente scordandosi di quanto erano belli i tempi del dpcm), salvo accontentarsi però di un vago riferimento al maggior dialogo con Camera e Senato.
Con questa risoluzione, insomma, si impegna il Governo a “continuare a garantire, secondo quanto precisato dal decreto-legge n. 14 del 2022 (il decreto Ucraina; Ndr), il necessario e ampio coinvolgimento delle Camere con le modalità ivi previste, in occasione dei più rilevanti summit internazionali riguardanti la guerra in Ucraina e le misure di sostegno alle istituzioni ucraine, ivi comprese le cessioni di forniture militari”. Il riferimento al decreto Ucraina non è casuale, visto che contiene tutto quello che il M5s nelle ultime settimane non avrebbe voluto.
E quindi? A cosa è servito il caos delle ultime settimane, l’attesa spasmodica verso il 21 giugno? Evidentemente a niente, se non a logorare il Governo e a sfasciare il M5s. Partito che si sarebbe comunque diviso. D’altronde è una discussione che poco ha a che fare, quella di questi giorni sulla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia, con il dibattito nei 5 stelle. Dove c’è un problema di leadership, persino di missione (qualsiasi cosa si intenda con questa parola per un movimento antisistema), che Conte potrebbe risolvere mollando il Governo da qui a settembre. (Public Policy)
@davidallegranti
(foto cc Palazzo Chigi)