Lo Spillo

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ROMA (Public Policy) – di Enrico Cisnetto – L’export rimane l’unico motore della nostra disastrata economia, non possiamo permettere che si fermi, né che rallenti. Per questa ragione è bene, da una parte, essere soddisfatti per il bilancio presentato da Simest per il 2013 – che con ricavi per 47,7 milioni di euro, un margine operativo di 25,7 e un utile netto di 13,3 registra il migliore risultato da quando, nel lontano 1991, la finanziaria per lo sviluppo delle imprese italiane all’estero ha iniziato la sua attività – e dall’altra essere consapevoli che, per dirla con le parole dell’amministratore delegato di Simest Massimo D’Aiuto, “è solo l’export che tiene in piedi il Pil del Paese”.

Senza, infatti, saremmo sprofondati. Basta vedere che dal 2007 il Pil italiano è sceso di 9,4 punti nonostante l’export sia aumentato di 10, figuriamoci cosa sarebbe stato se non ci fosse stato quell’incremento. Ma non solo: per uscire dalla recessione e riprendere la via della crescita, come dice Confindustria, l’Italia avrebbe bisogno di incrementi delle esportazioni dell’ordine del 9% annuo.

È per questo che è fondamentale tutelare strumenti come Simest, società i cui impieghi sono aumentati del 63,5% da inizio crisi e che collabora con 7mila imprese ogni anno (di cui il 64% Pmi). Inoltre, insieme a Sace, Cassa depositi e prestiti e a diversi altri attori, anche Simest (partecipata per il 76% dalla Cdp e per il restante 24% da alcune grandi banche italiane) è la dimostrazione che gli strumenti pubblici, e non solo quelli privati, possono avere effetti assai positivi sull’economia, specie quando, come l’istituto guidato da D’Aiuto, agiscono con le regole e i criteri del mercato.

Questo tipo di strumenti sopperiscono anche ai cronici problemi di sottodimensionamento, di nanismo, o di proprietà “familiare” dell’imprenditoria italiana, visto che il fatturato estero, in capo ad oltre 200 mila imprese, è realizzato per oltre la metà da meno di un migliaio di aziende che superano i 50 milioni. Insomma, l’export va bene, ma non si può dormire sugli allori.

Soprattutto se, complice la stagnazione economica europea e la politica dei bassi redditi della Germania, i flussi verso il continente europeo andranno a ridursi e, nello stesso tempo, l’export extra-Ue è minacciato da un euro troppo (e ingiustificatamente) forte e dalla progressiva riduzione delle politiche monetarie ultraespansive delle banche centrali di tutto il mondo.

Ma è proprio per mantenere le quote di mercato in Paesi come Cina, India, Usa, Brasile o Messico, e per penetrare in zone come l’Africa Sub Sahariana o il Sud Est Asiatico, che è indispensabile agire come “sistema Italia” e avere a disposizione strumenti pubblici efficienti. Il kit di semplificazioni normative per le imprese che operano all’estero previste nel decreto legislativo che attua la delega fiscale (legge 23/2014) sono certamente tasselli positivi, nel più generale contesto di semplificazione burocratica che deve essere attuato.

Ma è evidente che il sistema di imprese che funziona, “quelle che sono le più dinamiche” – come dice D’Aiuto – stanno già viaggiando ad alte velocità. L’importante e non fermare nessun ingranaggio del motore. Per dirne una, il governo potrebbe cominciare rifinanziando il Fondo per l’accesso agevolato al credito gestito proprio da Simest. (Public Policy)

@ecisnetto