di Federico Testa e Carlo Stagnaro*
ROMA (Public Policy) – Venerdì sera, nel pacchetto di emendamenti al ddl Bilancio depositati dai relatori e concordati col Governo, ce n’era uno particolarmente grave, nel contenuto e nella forma: la proroga delle concessioni per la distribuzione elettrica per un periodo “non superiore a quarant’anni” (poi diventati 20, con questa riformulazione). E a pagare saranno, direttamente e indirettamente, i consumatori.
Naturalmente, la forma dell’emendamento è più arzigogolata: dopo una lunga premessa sull’enorme fabbisogno di investimenti nelle reti di distribuzione nel nome della transizione energetica, l’emendamento apre la porta alla “presentazione, da parte dei concessionari dell’attività di distribuzione elettrica, di appositi piani straordinari di investimento pluriennale” aventi a oggetto una serie di attività che perlopiù già rientrano nei loro obblighi (il miglioramento delle prestazioni in casi di eventi climatici estremi, l’integrazione delle fonti rinnovabili, il potenziamento delle infrastrutture per soddisfare l’aumento atteso della domanda, l’aumento della flessibilità e la protezione delle reti da attacchi e criticità di altro genere). A fronte di tali piani straordinari corrisponderà la determinazione di “oneri che i concessionari sono tenuti a versare” e che tuttavia “sono inclusi da Arera nel capitale investito ai fini del riconoscimento degli ammortamenti e della remunerazione”. Infine, l’approvazione dei suddetti piani “comporta la rimodulazione delle concessioni in essere… per un periodo non superiore a quarant’anni” (che, tradotto dal legalese all’italiano, significa “per un periodo di almeno quarant’anni”).
Il contenuto della norma è grave: agli attuali concessionari viene concessa una proroga pluridecennale delle concessioni in scadenza, in cambio del versamento di un canone straordinario che tuttavia sarà riversato sui consumatori e che addirittura verrà remunerato, come se fosse un investimento a vantaggio del sistema e non degli azionisti. Tutto ciò in cambio di spese che essi dovrebbero comunque sostenere. In tal modo, vengono superate e de facto abrogate le disposizioni del decreto Bersani del 1999, il quale fissava nel 2030 la scadenza delle concessioni, prevedeva l’avvio delle procedure di gara per la loro riassegnazione dal 2025 e richiedeva una diversa definizione del perimetro, in modo tale che nessuna fosse superiore al 25 per cento dei clienti.
Più ancora del merito, è però preoccupante il metodo. Il Bersani risale a un quarto di secolo fa e dava ben cinque anni di tempo per organizzare le gare: in tutti questi anni, esso non era praticamente mai stato messo in discussione. Anzi, con poche eccezioni non se ne era proprio parlato. Poi avevano cominciato a girare voci sotterranee su una possibile proroga. Infine, questa è arrivata come un fulmine a ciel sereno con un emendamento notturno, in un venerdì pre-natalizio, e nell’ambito di un provvedimento come la legge di Bilancio che non ha nessuna attinenza col tema. In pratica, una decisione di politica industriale dalle conseguenze enormi – che riguarda l’assetto dell’intero settore elettrico e indirettamente anche del gas, visto che a lungo si è ipotizzato un maggiore coordinamento tra reti power e reti gas – avviene nel caos del dibattito sul bilancio e senza alcuna forma di analisi e confronto pubblico. E tutto ciò non per una improrogabile urgenza, ma con cinque anni abbondanti di anticipo sulla scadenza delle concessioni.
La decisione del Governo, quindi, appare non essere stata preceduta da alcun tipo di esame sugli impatti e sulle alternative. Se l’emendamento sarà accolto, come probabilmente accadrà, la riforma poggerà integralmente sul decreto attuativo che dovrà dettare le linee guida dei nuovi piani di investimento e le condizioni per la loro approvazione. Il decreto dovrà essere proposto dall’Arera e licenziato dal ministro dell’Ambiente, di concerto col ministro dell’Economia e d’intesa con la Conferenza Unificata. Esistono dunque due fragili argini al regalo di Natale per i distributori elettrici, finanziato loro malgrado dai consumatori: l’argine tecnico dell’Arera e l’argine politico delle Regioni, le quali – anche nel contesto dell’autonomia differenziata – potrebbero avere qualcosa da ridire. Vedremo se questi argini reggeranno. (Public Policy)
*Testa è professore di economia e gestione delle imprese dell’Università di Verona e presidente AgsmAim; Stagnaro è direttore ricerche e studi dell’Istituto Bruno Leoni