di Francesco Galietti*
ROMA (Public Policy) – A due anni dall’invasione dell’Ucraina, Mosca dipende economicamente e militarmente da iraniani, cinesi, nordcoreani e yemeniti, e ora rischia di perdere la Siria e ritrovarsi alla mercé di Erdogan per entrare nei mari caldi. Con ogni probabilità, il collasso del regime di Assad in Siria costa a Vladimir Putin più della controffensiva ucraina nel Kursk. Agli iraniani, stretti alleati dei russi, va almeno altrettanto male: a un anno dalla carneficina del 7 ottobre, l’Iran ha perso Gaza, non ha destabilizzato la West Bank, ha perso il sud del Libano e ora rischia di essere buttato fuori definitivamente dalla Siria.
Pur significative, queste mosse non gli sono valse la fuoriuscita dall’orbita iraniana, in cui resta imprigionato. È in questo contesto che va inquadrato il 7 ottobre, che ha innescato un violentissimo conflitto regionale che ha danneggiato pesantemente gli interessi iraniani in Siria e Libano, offrendo un varco di opportunità alla Turchia e alla sua rete di forze ribelli. Ora la Russia è costretta a investire risorse significative per mantenere il regime di Assad, il che, in un gioco geopolitico di vasi comunicanti, limita a cascata la sua capacità di concentrarsi sul conflitto ucraino. (Public Policy)
*fondatore di Policy Sonar