di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Le divisioni, speculari, che ci sono sia nella maggioranza che nell’opposizione, tra europeisti e sovranisti, vengono da molto lontano. Ben prima del Governo gialloverde. Solo che l’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha radicalizzato le posizioni e ora, su alcuni temi – dazi, Difesa, Nato – non ci si può più nascondere. Anzi, tutti i partiti sono spalle al muro e dovranno mostrare le carte. Bisogna capire con quali conseguenze.
Il piano di riarmo presentato da von der Leyen, per esempio, significa più Europa (dividendo sovranisti ed europeisti) e più armi (dividendo pacifisti e non). A sinistra le posizioni sono talmente mutevoli e variopinte che è difficile delineare uno scenario e i suoi effetti. Diverso a destra. Meloni ha guadagnato autorevolezza con la sua posizione euroatlantica e ora non può sfilarsi così facilmente. Tuttavia, la maggioranza degli italiani è contraria all’aumento della spesa militare e lei, in caso di sostegno al piano, rischierebbe di esporsi agli attacchi di opposizione e alleati.
Certo, tale scelta aiuterebbe la nostra industria della Difesa, che meglio di altri è attrezzata a una sfida del genere, ma lo spazio di autonomia della premier ne uscirebbe ridotto. Anche perché la leader di FdI Meloni potrebbe sì avere un ruolo chiave di mediazione tra Bruxelles e Washington, ma solo a patto di giocare, come gregario, nella squadra anglo-francese capitanata da Starmer e Macron. Possibile che sappia ritagliarsi uno spazio, ma certo non parte da una posizione di forza.
Bisogna poi osservare come reagirà la Lega. In passato, sull’invio delle armi all’Ucraina, sulle sanzioni alla Russia e perfino sul Next Generation Eu, Salvini ha lasciato da parte la maglietta pro Putin per indossare l’abito dell’alleato di Governo. Lo schema sarà lo stesso? Per adesso le intemerate pro-Trump e (e filorusse) del capo della Lega non destano grande preoccupazione. D’altra parte, al di là dei numeri della Lega in Parlamento, tali posizioni hanno credibilità quando non risultano velleitarie, come appaiono ora.
Anche perché gli imprenditori, specie di Lombardia e Veneto che hanno nell’export il motore della loro ricchezza, temono i dazi. E in effetti si rischiano pesanti contraccolpi nell’automotive e nel suo indotto, nell’agroalimentare, nei macchinari industriali, nel tessile e nella moda. Senza dimenticare che maggiori tariffe doganali possono provocare nuove fiammate inflazionistiche, oltretutto mentre la bolletta energetica è sempre più cara. In tale contesto Salvini si accollerebbe di far saltare il tavolo, magari per inseguire le uscite di Vannacci? A quel punto, il resto del Carroccio lo seguirebbe?
La situazione può essere una cartina di tornasole. Se i dazi rallentano l’economia, infatti, i singoli Paesi diventano impotenti di fronte alle scelte di Trump. Servono interventi a livello europeo, come fu con l’acquisto dei vaccini, con il tetto al prezzo del gas, con lo stop al Patto di Stabilità, con il NGEU. Lo stesso vale per la Difesa e per la Nato. In conclusione, di fronte all’accelerazione di Trump, diventa più difficile sottrarsi a iniziative che rafforzano la cooperazione Ue. A quel punto, le destre che oggi conquistano consensi ovunque in Europa dovranno, anche loro, fare una scelta. (Public Policy)
@m_pitta
(foto cc Palazzo Chigi)