Twist d’Aula – Assicurazioni sulle calamità, una tipica storia italiana

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Alla Camera è approdato il ddl sulla ricostruzione post calamità, altro capitolo nella infinita saga del possibile obbligo di assicurazione contro i danni da catastrofi naturali, che a ben vedere è una tipica storia italiana a cui, a improvvise fughe in avanti, corrispondono precipitose ritirate, con il risultato che alla fine non cambia nulla. Nel testo del ddl viene per esempio disposto che il Governo debba emanare “decreti per la definizione di schemi assicurativi finalizzati a indennizzare persone fisiche e imprese per danni al patrimonio edilizio cagionati da calamità naturali”. Ecco, qui ci sono “schemi assicurativi” e non si parla più di “obbligo” né per i privati, come aveva ipotizzato il ministro Musumeci, né per le imprese, come previsto dalla legge di Bilancio approvata nel 2023. Vedremo come andrà a finire, ma per avere un’idea di quanto poco sia lineare la strategia, basta allargare l’inquadratura.

Nel 2023 l’alluvione dell’Emilia-Romagna e le devastanti grandinate in Lombardia hanno indotto il Governo a introdurre l’obbligo di assicurazione non per i privati (per evitare l’accusa di una nuova tassa), ma per le imprese, che riescono ad ammortizzare meglio i costi e hanno più strumenti per difendere il business. Tutto risolto? Probabilmente no, perché non si è tenuto conto né dello scenario reale, né di come applicare la norma. E infatti l’obbligo è stato posticipato al 2026, in attesa di trovare la quadra, solo che dopo la seconda alluvione in Romagna, sull’onda dell’emergenza, è stato ripristinato il termine del gennaio 2025.

Ma se questi annunci vanno bene in linea di principio (o magari per la comunicazione), la realtà è diversa. E per diversi motivi. Primo. L’introduzione dell’obbligo è inutile per le grandi aziende, già quasi tutte assicurate, come anche per i due terzi delle medie. Dunque, il vincolo nasce nei fatti solo per le piccole, che sicuramente hanno qualche problema in più a dover aprire nuovamente il portafoglio. Secondo. Di che tipo di aziende parliamo? Uno studio di ingegneria, con uffici al terzo piano nel centro di Bologna, quanto è a rischio di subire danni da catastrofi naturali? E uno che ha uno studio professionale a casa sua? Ovvio che possano vedere la misura come una nuova tassa. Curioso poi che dall’obbligo sono escluse le imprese più a rischio, quelle agricole.

Certo, la spalmatura della polizza e quindi del rischio su una platea ampia rende più sostenibile il sistema. Ma non basta. Infatti, l’obbligo di assicurarsi non vale per fenomeni quali grandine e tempeste, troppo frequenti e troppo impattanti. E il mondo assicurativo, che è accusato di voler fare un gran bel business sulla questione, in realtà non è a suo agio. Perché sarebbe impossibile rimborsare i danni di tutte le imprese per un solo evento catastrofale. Per questo qualche compagnia propone non ci sia un obbligo a contrarre. mentre altre stanno costruendo dei ‘consorzi’ tra assicuratori (dei pool), in modo da rendere sostenibili questi tipi di rischi. Staremo a vedere, perché in pochi mesi è già cambiato tutto molte volte e non è escluso che avvenga ancora. Ma certo anche questa storia racconta di come funziona il nostro Paese.

Anche perché l’Italia è il Paese europeo più esposto a disastri naturali (310 miliardi di danni in 50 anni), ma allo stesso tempo quello meno assicurato (un “gap” di protezione superiore al 90%). Un’anomalia che nel tempo è stata sanata con massicci interventi pubblici nel post calamità, soldi che però spesso arrivano tardi e talvolta vengono spesi male (dall’Irpinia al Belice, per dire), a differenza di quanto avviene con i risarcimenti assicurativi, per definizione più immediati e puntuali visto che l’entità e destinazione dei rimborsi viene decisa prima dei disastri. Fino a qualche anno fa, per paura che l’obbligo assicurativo venisse interpretato come una nuova “tassa”, a parte qualche incentivo fiscale per le polizze, non si è fatto nulla. Adesso ci si prova, ma più per annunci e norme inapplicabili, che con una vera strategia. (Public Policy)

@m_pitta