di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Dopo la vittoria di Trump è diventata quasi una banalità dire che le élite non parlano più con la gente, che la politica tradizionale non intercetta i bisogni delle classi basse e medio basse, che le persone sono diventate impermeabili alla classica narrazione politica. Forse c’è tuttavia qualcosa di meno eclatante e più profondo, e cioè che non è più solo l’economia a indirizzare i sentimenti dell’opinione pubblica, ma la sua percezione. In qualche modo sarebbe da cambiare il vecchio detto, che diventa “It’s the economy’s perception, stupid!”.
Negli Stati Uniti il Pil è salito del 2,1% nel 2022, del 2,5% nel 2023 e potrebbe chiudere il 2024 in prossimità del 3%. Un incremento progressivo e costante a cui accompagnare l’aumento dei salari, la disoccupazione al minimo, la fiducia dei consumatori al massimo. Le cose non vanno male nemmeno allargando l’inquadratura, visto che i redditi delle famiglie statunitensi sono oggi il 26,5% più alti del 2007, Mentre, per esempio, in Italia il 5,4% in meno. Anche l’inflazione ha rallentato. Eppure l’Amministrazione Biden non è stata premiata. Anzi.
Nella vittoria di Trump si mescolano diversi fattori, tra cui alcuni non economici che trascendono la divisione marxista tra struttura e sovrastruttura. Tuttavia una parte determinante sull’esito del voto lo ha avuto l’economia. O meglio, la sua percezione. I livelli dei prezzi rimasti alti dopo le fiammate inflazionistiche. Cinque milioni di nuovi immigrati che hanno fatto aumentare il Pil e colmato il gap di forza lavoro hanno comunque prodotto incertezza e insicurezza in chi era già residente, magari immigrato il giro precedente. Non è un caso che circa il 40% dei latinos abbiano votato per il candidato Repubblicano.
Quattro anni fa Biden disse che la prima presidenza Trump era un accidente della storia. Un errore di calcolo, visto che lui, o meglio il suo entourage, non ha capito qual è la percezione della realtà nelle classi medie e medio basse dell’Occidente. Perché anche per la globalizzazione degli ultimi 40 anni vale il discorso dei polli di Trilussa. È aumentato il benessere globale e diversi miliardi di persone sono uscite dalla povertà. Ma questi miliardi non vivono e votano in Occidente. Anzi, gran parte di chi è da questa parte del mondo ha dovuto ridurre le aspettative di futuro.
Si può osservare lo stesso fenomeno dalla prospettiva tedesca. Se si escludono Paesi come il Lussemburgo o gli scandinavi, la Germania è ancora terza nella classifica Ue del Pil pro capite. Nonostante il fallimento del modello di sviluppo coltivato per 20 anni (acquisto di gas a basso prezzo dalla Russia ed export di beni in Cina), il Paese ha finora evitato la recessione. Bmw, Volkswagen e Mercedes non se la passano tanto bene, ma l’automotive è in crisi ovunque. La finanza mostra segni di cedimento (vedi i casi Commerzbank e DB), ma in altri Paesi si sono verificati casi ben peggiori. Per avere un’idea il reddito delle famiglie tedesche è oggi il 15,1% superiore a quello del 2007.
Insomma, potrebbe andare peggio. Il punto è che il 47% di chi vive in Germania pensa davvero che le cose andranno peggio. E come negli States questa percezione si ripercuote nelle urne. Le elezioni locali in Sassonia, Turingia e Brandeburgo ci dicono che quasi un tedesco su tre vota per Afd. E proprio per non lasciare praterie alla propria destra i Liberali guidati dal ministro delle Finanze Lindner hanno rotto il patto che reggeva la coalizione semaforo (con Socialisti e Verdi), tra l’altro su un tema non casuale come l’invio di aiuti all’Ucraina.
Qualcosa si può osservare anche in Italia. Le cose non vanno male in assoluto. L’ultima nota Ocse dice che il reddito reale cresce più della media (+0,4%), ma il Pil pro capite non sale, la produzione industriale va a picco, l’economia ristagna. Eppure i sondaggi accreditano Fratelli d’Italia di quali il 30%. E su questo potrebbe influire la capacità della premier di mostrarsi “amica delle imprese”, la percezione di un Esecutivo che si schiera a favore del profitto. Qualcosa che non ha ancora controprova fattuale, ma che Giorgia Meloni potrebbe essere pronta a cavalcare, come dimostrano le ultime uscite contro i sindacati (“io nono ho tutele”) e contro la sinistra (“mangiatrice di caviale”). Un approccio aggressivo di chi è alla ricerca di un nemico, quasi alla Trump, che più che sui numeri dell’economia gioca sulla sua percezione. (Public Policy)
@m_pitta