di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Una squadra che già era corta rischia di diventare cortissima. Il team di Fratelli di Italia esce rassicurato dal risultato delle Regionali con una vittoria netta ma allo stesso tempo non così travolgente da rompere gli equilibri nella maggioranza. Tuttavia, tra ambizioni e gelosie in un gruppo che per la prima volta entra nelle stanze dei bottoni e tocca il potere, contrasti di spogliatoio, dissapori tra i ministri e anche qualche player inadeguato, la rosa a disposizione di Meloni con il passare del tempo diventa progressivamente sempre meno lunga.
Già durante la formazione del governo e del sottogoverno è emerso quanto la scelta potesse essere limitata. Ora si tende anche restringere il cerchio di chi può stare in prima squadra. Il terzo decreto sulla riorganizzazione del Pnrr, il primo di questo esecutivo, ne è diretta conseguenza. Dopo aver trasferito la regia sui fondi dal Mef del leghista Giancarlo Giorgetti alle Politiche europee del fidato Raffaele Fitto, adesso i poteri vengono ancor più accentrati a Palazzo Chigi. Si istituisce infatti una “struttura di missione” divisa in quattro direzioni generali, con un unico coordinatore che garantirà “il supporto all’autorità politica” che, detto brutalmente, sarà l’esecutore della volontà di Meloni prima e Fitto poi. E se qualche dirigente si metterà di traverso, il governo ha ottenuto da Bruxelles la possibilità di sostituirlo. E se invece saranno gli enti locali? Niente, il loro potere di veto non conterà niente.
D’altra parte, una gestione del Recovery più “flessibile” (con possibilità di spendere i soldi entro il 2029 e non solo fino al 2026 e una certa libertà nel dirottare parte dei fondi da un progetto all’altro) è stata la moneta di scambio con cui a Bruxelles l’Italia ha lasciato passare le deroghe agli aiuti di Stato volute da Francia e Germania. Meloni sa infatti che dalla “messa a terra” del Pnrr dipende molto del suo futuro politico, oltre che del rilancio del Paese. Per cui restringe gli accessi e accorcia la linea di comando, mossa anche da una palese sindrome da accerchiamento, nella speranza di mantenere la barra a dritta. E se è vero che non si fida molto del mondo esterno, c’è qualche problema anche verso quello interno. Sempre sulla gestione del Recovery c’è un recente episodio che spiega quale sia l’atmosfera.
Nei giorni scorsi la Commissione Ue aveva espresso dubbi su come venissero gestiti i temi di energia e telecomunicazioni relativamente al Pnrr. Sul primo tema, esautorando Pichetto Fratin, Meloni ha fatto ricorso al supporto dei manager di Eni, Snam, Enel e Terna. Con Descalzi, inoltre, ha lavorato al cosiddetto nuovo “Piano Mattei” bypassando le strutture della Farnesina. Sulle reti di telecomunicazione, invece, la palla è passata dal ministero guidato da Adolfo Urso al sottosegretario Alessio Butti. Ecco, se anche in due ministeri che già dalla denominazione (“Made in Italy” e “sicurezza energetica) si occupano di temi cruciali alla narrazione meloniana c’è poco da fidarsi, è evidente che quello che si respira non è esattamente un clima di felice condivisione. Se a questo aggiungiamo i freddi rapporti con la Ragioneria di Stato, la Cdp e Banktialia, è evidente che il perimetro del roster diventa sempre più ridotto. Anche Nordio ha perso la fiducia della premier, nonostante sia stato voluto ministro contro la volontà di Berlusconi (che voleva Casellati) e Salvini (che voleva Buongiorno). D’altra parte, ha prima scritto lui stesso con una formulazione quantomeno discutibile l’emendamento al decreto Rave, poi è scivolato con espressioni sulle intercettazioni forse anche giuste nel contenuto ma certo sbagliate nei tempi e nella forma.
Se poi si vuole citare qualche altro episodio, c’è Fazzolari che litiga con Palazzo Koch prima e aizza all’uso delle pistole nelle scuole poi. Il “grande” Crosetto, cofondatore di FdI, che si deve difendere alle accuse di conflitto di interesse. Dalmastro e Donzelli che non hanno esattamente dato prova di aplomb istituzionale. E si potrebbe andare avanti, con una lista di errori forse più lunga della squadra di Meloni. (Public Policy)
@m_pitta