ILVA, LA VERSIONE DI BONDI: VALUTAZIONI SBAGLIATE ED EMISSIONI SOVRASTIMATE

0

ILVA, LA VERSIONE DI BONDI: VALUTAZIONI SBAGLIATE ED EMISSIONI SOVRASTIMATE

LA CONTRO-PERIZIA SULLO STABILIMENTO INVIATA ALLE ISTITUZIONI REGIONALI

(Public Policy) – Roma, 15 lug – “I criteri adottati nello
studio Sentieri (Studio epidemiologico dei territori
inquinati; Ndr) del ministero della Salute e dalla
Valutazione del danno sanitario (Vds) effettuata dall’Arpa
(a Taranto; Ndr) presentano numerosi profili critici, sia
sotto il profilo dell’attendibilità scientifica, sia sotto
il profilo delle conclusioni raggiunte”: scelta sbagliata
degli inquinanti (il Vds esclude il PM10), dei modelli
dose-risposta, sovrastima delle emissioni e individuazione
sbagliata delle cause dei tumori.

Queste le critiche contenute nella “contro-perizia” inviata
al presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, all’Ares
(Agenzia sanitaria Puglia), all’Agenzia regionale protezione
ambientale e all’Asl regionale dal commissario straordinario
dell’Ilva di Taranto Enrico Bondi
. Il documento – anticipato
dal Fatto Quotidiano e dalla Gazzetta del Mezzogiorno –
critica duramente gli studi sulle emissioni inquinanti dello
stabilimento tarantino.

La consulenza di 44 pagine, inviata il 27 giugno scorso e
di cui anche Public Policy è in possesso, è stata redatta
dai consulenti dell’Ilva Paolo Boffetta, Carlo La Vecchia,
Marcello Lotti e Angelo Moretto.

Secondo il documento, l’approccio utilizzato dall’Arpa per
la Valutazione del danno sanitario a Taranto “non
corrisponde a nessuno schema discusso in letteratura, e si
presta a critiche in termini di ambiguità dei concetti e dei
metodi impiegati, che sono particolarmente evidenti
nell’applicazione che ne è stata fatta allo stabilimento
Ilva”.

Il Regolamento di attuazione (Ra) della legge regionale 24
luglio 2012 (“Norme a tutela della salute e dell’ambiente”)
prevede che la procedura per la Vds si svolga in tre fasi.
Innanzitutto si rileva la presenza di eventuali criticità
sotto il profilo sanitario associate ai dati ambientali; nel
caso in cui vengano accertate le criticità si passa alla
seconda fase per accertare la concentrazione per inquinante;
la terza fase è così definita dall’Arpa: “Nel caso in cui
non si registri concordanza tra le stime modellistiche e i
dati osservati si procede a un approfondimento della
valutazione epistemiologica”.

“SOVRASTIMA” DELLE EMISSIONI
I consulenti contestano all’Arpa una “sovrastima delle
emissioni inquinanti”. Nel caso specifico dell’Ilva, la Vds
dell’Arpa fa riferimento per le emissioni all’Irea,
l’Inventario regionale delle emissioni predisposto nel 2007
dalla stessa Agenzia. La Vds prende in considerazione due
scenari: la situazione emissiva pre-Aia (del 2010) e
un’altra post-Aia (del 2016), mettendo a confronti i dati
con quelli dell’inventario Irea.

Secondo i consulenti, tra i dati riportati dall’Arpa
“l’unico dato verificabile è costituito dalle emissioni del
2010 in quanto esse sono consuntive e misurate. Gli altri
dati, invece, (quelli del 2016; Ndr) sono frutto di stime e
assunzioni non determinabili con certezza”.

La perizia Bondi confronta i dati della Vds del 2010 con
quelli riportati nel registro europeo delle emissioni E-Prtr
(i cui dati italiani sono gestiti dall’Ispra).

Secondo il confronto dei consulenti Ilva, “i primi dati sono
considerevolmente più elevati rispetto a quelli riportati
dall’E-Prtr […] e appare ragionevole ritenere che tale
sovrastima possa anche riguardare le emissioni stimate per
il 2016”. E se c’è una sovrastima, concludono, “questo si
riflette sulla valutazione della loro diffusione attraverso
i modelli diffusionali e in ultimo nel processo di
valutazione del danno sanitario, i cui effetti verrebbero ad
essere evidentemente sovrastimati”.

LA SCELTA DEGLI INQUINANTI
“Il documento Arpa non include il PM10 (polveri sottili;
Ndr) nella sua procedura di risk assessment”, scrivono i
consulenti e aggiungono: “Il motivo dell’esclusione è
probabilmente da ricercare nel fatto che i dati di
esposizione a questo inquinante sono sostanzialmente nella
norma […] Il documento Arpa, avendo deciso di non seguire
i periti nella scelta di un limite di riferimento non
giustificabile, ha deciso semplicemente di escludere un
inquinante maggiore – e il principale responsabile degli
effetti a breve termine – il cui rischio sarebbe risultato
trascurabile”.

E ancora: “La scelta di concentrarsi su tre gruppi
cancerogeni (Ipa, composti organici e metalli) offre più
garanzie di ottenere un risultato che attribuirebbe all’Ilva
un certo numero di casi di tumore o di decessi”.

SCELTA DEI MODELLI DOSE-RISPOSTA
I modelli dose-risposta sono da intendersi “come strumenti
di studio degli effetti biologici delle diverse sostanze
tossiche, non come elementi capaci di rappresentare
correttamente la realtà”. Questa la conclusione dell’equipe
sulla scelta dei modelli di dose-risposta utilizzati
dall’Arpa per la valutazione del danno sanitario. Secondo
gli studiosi “nella maggioranza delle associazioni
esposizione-malattia non vi è concordanza nella comunità
scientifica sulla scelta del migliore modello
dose-risposta”.

Secondo la perizia il Regolamento di attuazione del Vds “non
individua i criteri con cui i modelli debbano essere scelti o
sviluppati. I modelli devono essere in grado di valutare in modo
specifico sia i singoli agenti inquinanti, sia gli effetti sulla
salute, sia le particolari caratteristiche della
popolazione”. E ancora: “Senza linee guida sulla scelta e lo
sviluppo dei modelli (dose-risposta; Ndr) è impossibile
valutare l’appropriatezza e le prestazioni”.

CRITICHE ALLO STUDIO SENTIERI
La perizia passa in rassegna anche lo studio Sentieri
(Studio epidemiologico dei territori inquinati) per l’area
di Taranto commissionato dal ministero della Salute nel
2012. “I dati di mortalità per tumori nello studio – si
legge nella perizia Bondi – si riferiscono al periodo
2003-2009.

L’incidenza e la mortalità per tumori riflette
esposizioni che risalgono a un lontano passato. I tumori al
polmone hanno una latenza di 30-40 anni, e riflettono quindi
essenzialmente esposizioni dagli anni ’60 e ’70, o
precedenti. A tale proposito è noto che a Taranto, città
portuale, la disponibilità di sigarette era in passato più
alto rispetto ad altre aree del Sud Italia – dove per
ragioni economiche il fumo di sigarette era ridotto fino
agli anni ’70. Inoltre, tale eccesso era evidente a Taranto
anche nei dati di mortalità negli anni Ottanta e Novanta, e
non è quindi attribuibile a esposizione recenti”.

Secondo i consulenti di Ilva a Taranto “la mortalità per
alcuni tumori era già elevata negli anni Ottanta e Novanta
per tre cause principali e ben note: il fumo, l’amianto e la
particolare condizione di zona deprivata”.

Lo studio Sentieri ha comportato due fasi. Nella prima gli
autori hanno studiato gli effetti sulla mortalità di nove
fonti di esposizione ambientale: impianto chimico, impianto
peltrolchimico e raffineria, siderurgico, centrale
elettrica, miniera, area portuale, amianto, discarica,
inceneritore. Nella seconda fase sono stati analizzati i
dati di mortalità per il periodo 1995-2002 per i diversi
siti di interesse nazionale (Sin). “Per il Sin di Taranto –
si legge – le fonti di inquinamento identificate dagli
autori erano impianto petrolchimico e raffineria, impianto
siderurgico, area portuale e discarica”.

Secondo la perizia Bondi la valutazione dello studio
Sentieri è dunque “limitata” perché parte “a priori
dall’associazione causale tra l’esposizione alle fonti di
inquinamento scelte dagli autori, tra cui gli impianti
siderurgici, e cause specifiche di morte”. (Public Policy)

SOR