A che punto siamo con i (due) ddl Lavoro in Parlamento

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ROMA (Public Policy) – Prosegue nell’aula di Montecitorio l’esame del ddl Lavoro. Si riprenderà oggi con le votazioni sugli emendamenti relativi all’articolo 2 del testo. Giovedì scorso l’esame in assemblea, infatti, si è interrotto al primo articolo poiché le opposizioni hanno chiesto la convocazione di una capigruppo per valutare la possibilità di riaprire i termini per depositare emendamenti.

La richiesta, che sarebbe poi stata accolta, è stata avanzata in virtù del fatto che circa la metà delle proposte di modifica presentate in aula sono state dichiarate inammissibili per inidonee coperture finanziare dalla commissione Bilancio. I gruppi di minoranza, tuttavia, hanno fatto notare come gli emendamenti (risalenti a marzo) facevano riferimento a coperture che all’epoca erano idonee, ma che oggi – dopo un esame durato mesi in commissione – sarebbero variate.

Ecco perché, all’esito della conferenza dei capigruppo, il presidente Fontana “in ragione delle eccezionalità della situazione determinatasi ha consentito una breve riapertura dei termini per la presentazione di un numero limitato di emendamenti al collegato Lavoro”. Sono 10, in totale, gli emendamenti che le opposizioni hanno potuto ripresentare di cui 5 dovrebbero essere a firma Pd, 4 M5s e uno Avs.

Tra le proposte che verranno discusse in aula, quindi, ci sarà di nuovo quella con cui si chiede l’istituzione di un salario minimo legale a 9 euro l’ora, già bocciata in commissione. Sul fronte della maggioranza, invece, nonostante il presidente della XI di Montecitorio Walter Rizzetto avesse annunciato nuovi emendamenti su proposte che “non si è riusciti ad approvare in tempo” consentendo, così, ai ministeri di “condurre ulteriori approfondimenti”, in realtà nessun gruppo di maggioranza ha presentato proposte di modifica in aula.

Si è preferito sottoscrivere la presentazione di nuovi emendamenti a nome della commissione in sede di comitato dei 9 che la scorsa settimana si è riunito due volte dando il via libera a due norme da portare al vaglio dell’assemblea. La prima punta ad estendere la possibilità di svolgere conciliazioni in via telematica anche alle conciliazioni in sede sindacale. Mentre l’ultima novità prevede che i dipendenti pubblici in quiescenza possono iscriversi alle organizzazioni sindacali del pubblico impiego riconosciute dall’Aran.

Ricevuto il via libera da Montecitorio, il ddl verrà trasmesso al Senato dove è in corso l’iter di un ddl analogo a prima firma Paola Mancini (FdI) che introduce alcune “semplificazioni in materia di lavoro e legislazione sociale”. Come ricordato più volte, viste le sovrapposizioni tra i due provvedimenti bisognerà adattare il testo Mancini sopprimendo, ad esempio, la norma che introduce le dimissioni volontarie automatiche in caso di assenze ingiustificate per evitare, sostanzialmente, che si configurino gli estremi per il licenziamento e che quindi si maturi il diritto a percepire la Naspi.

La norma dovrà essere soppressa perché già approvata all’interno del ddl Lavoro al vaglio della Camera. Si è trattato dell’ultimo scoglio su cui la commissione si è concentrata prima di licenziare il testo che, nella formulazione iniziale, fissava a 5 (se non diversamente previsto dal contratto collettivo) i giorni sufficienti per far scattare le dimissioni automatiche.

Sul punto si è giunti a fatica a un accordo: il Governo, infatti, ha riformulato tre emendamenti parlamentari (presentati da Pd, M5s e Forza Italia) riscrivendo di fatto la norma. Adesso, infatti, i giorni sono stati aumentati a 15, escludendo le dimissioni nel caso in cui “il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano l’assenza”.

Inoltre, è stato introdotto un meccanismo a tutela del lavoratore in base al quale “il datore di lavoro comunica l’assenza all’ispettorato del lavoro territorialmente competente, che si riserva la possibilità di verificare la veridicità della comunicazione”.

Non si tratta dell’unica norma che le opposizioni hanno provato a stralciare da un testo che – nella versione approvata in commissione – allarga le maglie per far ricorso ai contratti di somministrazione. L’articolo 5, infatti, elimina i limiti quantitativi per l’impiego di somministrati a tempo determinato da parte dell’utilizzatore.

Nel dettaglio, la norma elimina i limiti percentuali (30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato) relativi alle assunzioni con il contratto di apprendistato in regime di somministrazione e quelli quantitativi in caso di somministrazione a tempo indeterminato di specifiche categorie di lavoratori (lavoratori in mobilità, soggetti disoccupati non del settore agricolo). (Public Policy) GPA