di David Allegranti
ROMA (Public Policy) – Dopo il primo turno delle elezioni legislative in Francia, c’è chi si immagina già Jordan Bardella – giovane leader di Rassemblement National insieme a Marine Le Pen – primo ministro del nuovo Governo francese. Ma è ancora presto, osserva il costituzionalista Stefano Ceccanti, docente di diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza: “Bisognerà attendere fino a martedì alle 18 per fare previsioni fondate sui seggi del secondo turno di domenica in Francia. In una maggioranza di collegi sono ammessi 3 candidati perché la soglia di sbarramento è al 12,5 per cento degli aventi diritto. Se il candidato macroniano o quello di sinistra si ritirano entro quell’ora in molti collegi a favore dell’altro Le Pen si ferma alla maggioranza relativa e non ha il Governo. Altrimenti ci potrebbe riuscire”. Ed è qui, con la politica delle desistenze, che si gioca la partita del secondo turno di domenica 7 luglio; i ballottaggi infatti possono essere a tre o a quattro candidati, chiamati in gergo rispettivamente “triangolari” e “quadrangolari”.
“Davanti al Rassemblement National, è arrivato il momento di un’ampia unione chiaramente democratica e repubblicana per il secondo turno”, ha detto il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, che ha sciolto l’Assemblea Nazionale dopo il risultato delle elezioni europee (Front National al 31,37 per cento). “Neppure un voto andrà al RN, ovunque saremo terzi ritireremo il nostro candidato”, ha detto il leader di La France Insoumise (parte del Nuovo Fronte Popolare), Jean-Luc Mélenchon.
La rivista Le Grand Continent ipotizza tre scenari. Nel primo scenario, con nessun ritiro, una coalizione fra Rassemblement National, Eric Ciotti e i rappresentanti di Reconquête, estrema destra francese, otterrebbe la maggioranza assoluta con circa 300 seggi. Se la sinistra si ritira, invece, l’estrema destra potrebbe conquistare 275 seggi (la maggioranza assoluta è 289). Terzo scenario: “Con uno sbarramento totale (tutti i partiti tranne estrema destra), l’estrema destra potrebbe conquistare 261 seggi”, osserva Le Grand Continent. “Se lo scenario 1 sembra improbabile – tutti i rappresentanti del Nuovo Fronte Popolare hanno chiesto il ritiro in caso di terzo posto in una corsa triangolare – lo scenario 3 è quasi altrettanto improbabile: I Repubblicani (non alleati di Ciotti) non hanno dato alcuna indicazione di voto”.
Ma che cosa potrebbe succedere in caso di assenza di maggioranza assoluta? L’assemblea legislativa francese sarebbe ingovernabile. Il nuovo primo ministro avrebbe difficoltà a far approvare le leggi. Ma potrebbe ricorrere all’articolo 49, comma 3, della Costituzione del 1958. È già successo in passato. Come spiega ancora Ceccanti, “questo articolo, inserito allora nel testo e poi modificato in seguito in senso restrittivo, ha la funzione di proteggere Governi cosiddetti di minoranza, ossia di maggioranza relativa, che abbiano contro di loro altre minoranze che di norma non sarebbero sommabili tra di loro”.
Il Governo mette la fiducia perché se si votasse solo sul testo, “senza fiducia, si conterebbero i sì e i no: i gruppi di opposizione potrebbero sommarsi agevolmente, ciascuno con le proprie motivazioni separate, e l’esecutivo potrebbe perdere. Invece il Governo mettendo la fiducia fa sì che il testo o passi senza voto (se le opposizioni non reagiscono) oppure se esse presentano mozioni di sfiducia per reazione alla fiducia il metodo cambi alzando lo scalino: una mozione di sfiducia votata insieme deve arrivare alla metà più uno dei componenti”. È una logica analoga alla sfiducia costruttiva, osserva Ceccanti: “Gli oppositori hanno l’onere della prova di dimostrare che la maggioranza è in realtà una minoranza”. Per il fronte anti-Bardella e Le Pen dunque potrebbe esserci qualche speranza.
Negli Stati Uniti, invece, le speranze sono assai minori per Joe Biden, dopo il disastroso confronto televisivo con Donald Trump della settimana scorsa. Anche i media liberal statunitensi hanno chiesto a Biden di ritirarsi: “Biden è stato un presidente ammirevole”, ha scritto il New York Times: “Sotto la sua guida, la nazione ha prosperato e ha iniziato ad affrontare una serie di sfide a lungo termine, e le ferite aperte da Trump hanno iniziato a guarire. Ma il più grande servizio pubblico che Biden può fare ora è annunciare che non si ricandiderà”.
Giovedì sera “il presidente è apparso come l’ombra di un grande servitore pubblico. Ha faticato a spiegare cosa avrebbe realizzato in un secondo mandato. Ha faticato a rispondere alle provocazioni di Trump. Ha faticato a ritenere Trump responsabile delle sue bugie, dei suoi fallimenti e dei suoi piani agghiaccianti. Più di una volta ha faticato ad arrivare alla fine di una frase”. Insomma, ha detto ancora il New York Times, “la sua argomentazione si basa in gran parte sul fatto che ha battuto Trump nel 2020. Questa non è più una motivazione sufficiente per spiegare perché Biden dovrebbe essere il candidato democratico di quest’anno”. Il problema è che non sembrano esserci grandi alternative a Biden. La sua vice, Kamala Harris, è ancora meno popolare di lui. E Michelle Obama è solo una “fantasy option”, come la definisce il Washington Post.
Fra Europee, Legislative francesi e Presidenziali statunitensi è, insomma, un buon momento per la destra mondiale. (Public Policy)
@davidallegranti