di Carmelo Palma*
ROMA (Public Policy) – Molti ricorderanno come la prima e principale delle norme simbolo della riforma del Codice della strada, approvata alla fine del 2024, riguardasse la stretta sull’uso delle sostanze stupefacenti e psicotrope e in particolare la novella dell’articolo 187. Se fino alla riforma si prevedeva che fosse punito con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi a un anno, nonché con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni, chi fosse trovato alla guida di un autoveicolo “in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”, ora per ritenere punibile la condotta è sufficiente che si guidi “dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”.
Non si è trattato di una piccola modifica, ma di un sostanziale ribaltamento della fattispecie incriminatrice, non più costituita dalla guida in stato di alterazione a causa del consumo di droghe, ma dal consumo di droghe tout court, a prescindere dall’attualità degli effetti sullo stato psico- fisico del guidatore. La riforma non ha invece modificato l’articolo 186 del Codice della strada, che punisce chi guida “in stato di ebbrezza in conseguenza dell’uso di bevande alcoliche”, e quindi prevede l’alterazione psicofisica, non il mero uso di sostanze alcoliche precedentemente alla guida, come elemento costitutivo del reato.
La novella dell’articolo 187 del Codice della strada ha suscitato enormi polemiche, in primo luogo perché ha reso punibile una condotta di per sé priva di un’effettiva offensività rispetto al bene giuridico della sicurezza stradale, in quanto una precedente assunzione di sostanze psicotrope che abbiano nel frattempo esaurito gli effetti droganti, ma di cui possano ancora essere rintracciate le tracce nella saliva o nel sangue dell’assuntore, non rende quest’ultimo “pericoloso” per sé e per gli altri e quindi non rende sussistente la condizione per cui possa essergli contestato un reato di pericolo.
Su questa base, poco tempo dopo l’entrata in vigore di questa norma, il GIP di Pordenone ha sollevato una questione di legittimità costituzionale “per violazione dei principi di ragionevolezza, proporzionalità, uguaglianza ex art. 3 Cost., nonché dei principi di tassatività e determinatezza della fattispecie incriminatrice art. 25 co. 2 Cost. e del principio della finalità rieducativa della pena ex art. 27 co. 3 Cost”.
Si badi che in questo caso si tratta della procedibilità per un reato, non della sussistenza dei requisiti per il rilascio o il mantenimento della patente di guida (articolo 119 del Codice della strada), rispetto al quale l’alcolismo come la tossicodipendenza possono ben considerarsi ragioni ostative, ma non possono derivarsi in ogni caso dalla semplice positività a un test. In questo quadro, non poteva che suscitare ulteriori polemiche e interrogativi la circolare inviata a Prefetti, Questori e dirigenti della Polizia stradale dal Dipartimento di Pubblica sicurezza del ministero dell’interno e dal Dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie del ministero della Salute sulle “procedure di accertamento tossicologico-forense per la verifica della condizione di guida sotto l’influenza di alcol o dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”.
Infatti questa circolare, anziché dare attuazione al nuovo articolo 187 del Codice della strada, sembra proprio capovolgerne il senso, ma lo fa in modo così contraddittorio e insieme in modalità così improprie da accrescere l’equivocità della norma. Basti leggere questo passaggio posto in premessa: “In luogo del nesso eziologico tra assunzione e alterazione, il nuovo articolo 187 cds prevede, quale presupposto per la punibilità della condotta, una correlazione temporale tra l’assunzione e la guida, che si concretizza in una perdurante influenza della sostanza stupefacente o psicotropa in grado di esercitare effetti negativi sull’abilità alla guida”.
In realtà il nuovo articolo 187 stabilendo una correlazione temporale tra assunzione e guida in luogo del nesso eziologico tra assunzione e alterazione fa l’esatto contrario del sanzionare una condotta che comporta una influenza negativa sull’abilità di guida. Stabilisce che non conta nulla se l’avvenuta assunzione comporti ancora, ai fini dell’incriminabilità, “una perdurante influenza” sull’abilità di guida. In coerenza con questo presupposto incoerente con il tenore dell’articolo 187 cds la circolare prevede quindi che laddove i test verifichino “la presenza nel sangue o nel fluido del cavo orale esclusivamente di metaboliti inattivi di sostanze stupefacenti e psicotrope” questo “NON consente di attribuire al soggetto sottoposto agli accertamenti lo stato di intossicazione in atto e, pertanto, non è determinante ai fini della procedibilità per il reato di cui all’art. 187 cds”.
È possibile che con questa circolare il Governo abbia tentato di arginare gli effetti di una norma oggettivamente esposta a pesanti censure giuridiche e costituzionali, provando a circoscriverne portata e conseguenze. Però certamente è improprio – per usare termini eufemistici – pensare di “compatibilizzare” costituzionalmente una norma penale attraverso un atto amministrativo, che non è un atto normativo e non può innovare l’ordinamento giuridico. Dal punto di vista tecnico, inoltre, non è sufficiente la presenza di metaboliti attivi a dimostrare un’alterazione psicofisica. Quelli della cannabis, ad esempio, possono essere rilevati fino a settantadue ore dopo l’assunzione, quando la sostanza assunta ha già esaurito da tempo qualunque effetto alterante dell’equilibri psico-fisico.
In ogni caso, nulla impedirà alle Procure di considerare il reato integrato anche al di là delle specifiche tecniche previste dalla circolare e, per la stessa ragione, non potrà considerarsi estinto l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, sollevato dal Gip di Pordenone.
Anche a partire da questa vicenda, meriterebbe un’allarmata considerazione il fenomeno del rapporto tra la qualità mediocre della produzione normativa e la crescente incertezza del diritto come peculiarità dell’ecosistema giuridico. Fenomeno, a dire il vero, tanto più grave quanto maggiore è la gravità delle norme, quali quelle penali, di cui sono incerti e disputabili i termini di applicazione. L’istituzione di reati con funzioni eminentemente rappresentative di un impegno politico-morale, ma privi di una sostanza giuridicamente coerente – come è il nuovo articolo 187 del Codice della strada – porta inevitabilmente a queste conseguenze. Il virtue signalling nel diritto penale genera mostri. (Public Policy)
@CarmeloPalma
*l’autore è responsabile dell’Ufficio legislativo di Azione al Senato